A ve' nova
Il sette maggio 2011, è stata organizzata dalla associazione "Sicilia Antica Enna" una escursione al Santuario di Papardura e alla "Ve nova" un antico viottolo di accesso alla città che collegava la trazzera regia che porta a Papardura con la rocca dove oggi c'è il cimitero.
A Ve' Nova nella parte iniziale, presso il cimitero
L'escursione è stata guida dal Prof. Sandro Amata e dal presidente della associazione Gaetano Marchiafava.
La zona oggi di difficile accesso per l'interruzione della strada che portava a Villarosa, è quasi abbandonata, ci sono solo alcune case sparse dove ancora abita qualche contadino, ma fino agli anni '40 era molto frequentata, non solo per i lavatoi di Papardura, ma anche per una fonte d'acqua potabile a cui si faceva la fila per l'approvvigionamento. I contadini caricavano sulla giumenta due brocche d'acqua e le salivano ad Enna con grande calma e fatica.
A Ve' Nova nella parte presso la strada di Villarosa
La stradella larga circa tre metri è costeggiata da ambedue i lati da due muretti di pietra a secco della larghezza di più di un metro e sale dal piano della strada che va a Villarosa verso la rocca del cimitero, purtroppo il tracciato si perde, a causa delle frane, nel tratto intermedio, nella parte più ripida. In antico la presenza di argilla e d'acqua ha dato luogo ad insediamenti industriali di cui rimane oggi una fornace ellenistica intatta fino a qualche anno fa e che oggi presenta dei crolli parziali. La zona era tutta terrazzata da muretti di pietra e la presenza di antichi palmenti suggerisce la coltivazione della vite. Scavata nella roccia è ancora presente una tomba ad arcosolio di epoca romana. Oggi si respira una atmosfera particolare: una dimensione antica e perduta, salvata per caso dalla modernità, ma purtroppo a rischio di definitivo e rapido degrado.
Un tratto intermedio
"Il Campanile" pubblica per i suoi lettori le mappe della zona e le foto effettuate durante l'escursione accompagnate da un racconto di Nino Savarese che ci aiuta a ricreare l'atmosfera che ancora oggi si vive.
Il racconto si intitola "Piccolo viaggio" e narra una escursione dell'autore nel territorio di Enna.
"Piccolo Viaggio"
di Nino Savarese
Cammino a cavallo da circa un'ora: ma la méta è ancora lontana. Abbiamo scartato lo stradale, e ormai non lasceremo piú questo filo di accorciatoie, che si stendono sul dorso delle colline, scendono in fondo alle valli, si reggono appena sulle costole dei monti, a volte a picco su forre e burroni, e sempre annodandosi l'una all'altra come una vecchia e logora corda piena di strappi.
La stradella affiancata da mura
Sono righe d'un solo passo: continuamente calcate e rinnovate dagli zoccoli delle cavalcature, e continuamente cancellate. D'inverno, i passi vi lasciano impronte profonde e di perfetto rilievo, d'estate quasi spariscono, e non rimane che una scia di colore più patito e più labile, che il sole ed i venti tentano cancellare.
Fornace ellenistica
Dove la solitudine dei luoghi è più aspra, e il cammino difficile, ti sembra di vedere ancora, su quelle tracce, il passo del primo viandante, che, spinto chi sa da quale necessità, si avventurò ad aprirsi, da solo, una strada nuova, forzando l'inviolato riposo della terra. Le contrade del centro della Sicilia, che sono quelle per le quali io vado, sono solcate da queste ardue vie, segrete e confidenziali, nate dall'estro e dal coraggio di solitari viaggiatori: diversissime dalle antiche « trazzere », anch'esse nate dalla necessità e sotto il piede degli uomini, ma non mai cosi alpestri e spericolate, e sanzionate da un uso concorde e dalla pubblica autorità, epperciò più conosciute, più frequentate, e anche più larghe, alla luce del sole.
Grande masso isolato, all'interno è scavata una stalla ancora in uso
Svoltiamo l'alto ciglio di un monte, e si apre nel basso una chiara e nuda distesa di terra bianchiccia, sparsa di tonde nudità rocciose, di banchi gessosi, di macchie di ginestre.
Vi abbondano i conigli: in qualche parte si odono cantare le pernici. Uno stormo si leva bene in vista: passa sopra un cocuzzolo con un netto disegno sul cielo.
La stradella e la rocca in alto
La scorciatoia, salendo su una cima, passa davanti una casetta di un solo vano, che forse mai fu abitata da uomini: i venti hanno portato via il tetto, i viandanti la porta: le intemperie promettono di ributtarla in fondo alla valle. Non è il rifugio di un santo eremita, ma un covo umano, nato forse dal fallace calcolo d'un uomo interessato ed audace.
Ingresso di un antico palmento
Ridiscendendo il fianco del monte, sopra un picco che ci rimane sul capo, scopriamo un uomo col fucile in aria: ci sembra di riconoscerlo: - Pietro! Quello guarda verso di noi, ma non risponde
- Non ci riconosci? - Io non vi conosco.
Non vogliamo fermarci, ed andiamo avanti. Ma il suono delle nostre voci che resta nell'aria, in quel l'aria di dubbio, sembra ingrandire paurosamente la solitudine in cui siamo.
la fonte di acqua potabile
Ora sembra di aver varcato un limite geologico oltre il quale sia cominciato un regno a noi sconosciuto, che era nascosto nelle pieghe di questa natura, pure a noi così familiare.
Non alberi, non piante, non terre lavorate: si cammina sopra un terriccio bianco, tra banchi grigi e bianchi di cristalli, che mandano un chiarore da basso, come se la luce ristagnasse a fior di terra.
Nel mezzo c'è una gessara: accanto un uscio un asino nerissimo, piccolo, con la coda spelata, la bardella e il groppone impolverati, attende il carico.
Più in là c'è un pezzetto di vigna recinta da un muricciuolo di pietre bianche, come il viso d'una suora nel suo soggolo. Un uomo altissimo, magrissimo, dal viso secco, tutt'ossa, si affaccia dalla stamberga: non ha aspetto di contadino: è uno di quegli uomini che fanno più di un mestiere: nemici dell'ordine sociale, amanti della libertà. Ci guarda con trasporto come volesse, ormai che è stato scoperto, mostrarci coraggiosamente la sua solitudine, e farsi perdonare quella vita di condannato volontario, legato a quelle quattro viti, a quell'unico fico, a quelle quattro pietre.
Saluta da lontano; guarda finché passiamo: poi si ricaccia dentro come per dimenticare al più presto il turbamento di questo incontro.
Tomba ad arcosolio
Al valico delle rocce che ci chiudevano l'orizzonte, già siamo in vista di una valle fiorita.
Il paesaggio, d'una improvvisa amenità, stupisce: sembra scoperto e trovato per via di incanto.
Panorama verso Villarosa
Gli aranci rosseggiano da lontano: le ornate cupole dei nespoli appaiono punteggiate del giallo dei loro frutti. Una voce nuova ci giunge dalla nascosta profonditá dei fogliami: la voce dell'acqua.
A questa voce, dunque, come per richiamo d'incanto, accorsero tutte le popolazioni vegetali che disertarono per tanto raggio la terra che abbiamo attraversato.
Son tutte qui, come una folla immensa, della quale non sospettavamo la numerosa presenza: i pioppi dalle chiome d'argento che trascolorano alla brezza dei venti, i vasi ramosi dei noccíuoli, le onde delle siepi, prese negli antichi lacci di inestrícabili abbracciamenti; e lungo il corso dell'acqua, come un tenero ciglio, gli aghi a flabelli delle code cavalline. E in ogni piega, in ogni recesso, sotto ogni fusto, intorno a ogni stelo, la peluria delle piccole piante che prosperano al solo respiro dell'acqua.
Antico palmento
Qui, i protagonisti del felice paesaggio son gli ortolani, che hanno casette frequenti, l'una in vista dell'altra, per l'accenno d'un comignolo, per una finestrella non del tutto coperta dal fogliame, o un panno di bucato appeso al ramo di un albero.
I tetti di queste case, bassi e aggrumati di licheni, sono sparsi di pomodori messi ad asciugare, di fichi che offrono al sole le piccole pance aperte, dalle interiora granellose, intrise di zucchero: e tra l'uno e l'altro colore, nella mescolanza dei verdi, spicca il giallo imperioso e sfacciato delle zucche quarantine da seme. Adagiate su quei tegoli, pazienti al sole, sembrano anticipare il misterioso ufficio della riproduzione, come sopra un talamo.
Saltando a terra, guardo il mio cavallo, che io non guidavo attraverso l'intricato filo di quei viottoli, giacché è stato lui ad insegnarmi la strada: e mi sembra un essere magico, che conosceva strani e grandi segreti della terra, ed abbia voluto mostrarmeli.
Chiesa rupestre
...Non vedremo più l'asino con le quattro brocche dentro i cofani di salice, che parte per un « viaggio d'acqua» e torna dalla lontana sorgente dopo molte ore, sulla riga di un sentiero inciso come una ruga sul terreno arso e pietroso: né incontreremo più queste file di asini e di muli all'imbrunire, su cui i contadini tornano ogni sera ai loro paesi, spesso lontanissimi, per rifare la medesima strada all'alba, come se al calare della notte la terra che essi coltivano li respingesse con tristezza e sconforto, e al nuovo giorno li richiamasse con una nuova illusoria speranza.
Scomparirà, insomma, tutto ciò che porta il segno dello stento e della difficoltà, che da secoli si è impresso su certe contrade della Sicilia, specie dell'interno: difficoltà di camminare, difficoltá di procurarsi l'acqua, difficoltà di ripararsi dal sole o dalle intemperie, difficoltá di coltivare qualsiasi pianta in estate e piantare alberi e farli attecchire!
(da Sicilia vecchia e nuova, di N. Savarese)