Civiltà mineraria
La civiltà mineraria in provincia di Enna, un grande capitolo dell'economia della nostra provincia ormai archiviato per sempre.
Misconosciuto dalle giovani generazioni, il mondo delle miniere rischia di essere ricordato solo per le ipotesi relative allo stoccaggio di scorie radioattive.
Pino Vicari testimone di quella epopea sociale ed economica che furono le miniere nella nostra provincia, dona al "Campanile" una pubblicazione da lui curata negli anni ottanta assieme ad Enzo Barbagallo.
La civiltà mineraria nell’ennese rappresenta con ogni probabilità la maggiore tradizione produttiva che il territorio abbai mai avuto insieme al mondo dell’agricoltura. Già nei primi secoli dell’impero romano si ha notizia di alcuni cristiani condannati dai tribunali romani “ad metalla” in Sicilia, a scavare cioè in cave e miniere per l’estrazione di materie prime nell’ antica provincia senatoriale. Sin da allora lo zolfo ed il sale erano le principali materie estratte e partivano verso i più lontani lidi dell’impero e dei paesi ad esso collegati da vincoli commerciali.
Nel seicento e nel settecento, l’impennarsi della richiesta dello zolfo per la produzione della polvere pirica, motivò la apertura di tantissimi siti estrattivi e la creazione di miniere in galleria in sostituzione delle cave a cielo aperto (le pirrere) che sino ad allora avevano soddisfatto il mercato. Attorno ad Enna nacquero così i poli minerari di Gallizzi, Floristella, Grottacalda, Giummentaro, Volpe, Salinella, Caliato, ad Aidone il grande polo del Baccarato, a Calascibetta Realmese.
Grottacalda ieri
Grottacalda, il grande complesso minerario,
il maggiore della provincia,
contava sino al 1943 dai 1500 ai 1800 operai.
Era di proprietà dei Sant’Elia e con il ventennio
fascista passò alla Montecatini S.p.A
Addirittura la trasformazione del territorio fu tale che in funzione delle presenze di grandi masse di manovalanza mineraria vennero creati i paesi di Villarosa, sotto la feudalità dei Notarbartolo di Sciara e di Valguarnera Caropepe sotto la feudalità dei Valguarnera di Assoro.
Per tutto il XIX secolo le miniere fecero da perno per la vita dell’intero centro Sicilia, masse incredibilmente folte di minatori, operai, lavoranti e tecnici, vissero le loro intere esistenze a stretto contatto del minerale, sacrificando in miniera l’infanzia e la gioventù, con la sola compagnia del canarino e della paura di finire i propri giorni schiacciati dal peso della terra riarsa dal sole.
Il difficile mondo della miniera attirò i politici che di volta in volta videro nelle folle di minatori gente da riscattare e o da sfruttare ed anche il mondo letterario si fece affascinare dalla durezza della vita dei minatori, così che di miniere e di gente di miniera scrissero Pirandello, Verga, Rosso di San Secondo, Lanza, Sciascia e Napoleone Colajanni.
GROTTACALDA
negli anni '80
Nel secondo dopoguerra le miniere, ingranditesi a dismisura, videro però nascere la nuova tecnologia estrattiva americana, il veloce e poco costoso metodo Frash che portò lo zolfo statunitense a costi estremamente concorrenziali rispetto a quello siciliano.
Nel giro di due decenni tutte le grandi miniere chiusero lasciando spazio solo per le attività estrattive alcaline, soprattutto nella gigantesca pasquasia.
Il colpo per l’economia dei paesi dell’altipiano fu gravissimo, decine di migliaia di minatori furono costretti ad emigrare verso altre terre di estrazione, il Canada, il Belgio, la Germania, lasciando dietro di sé il ricordo di un’epoca di sacrifici e di speranze per il progresso della loro terra.
Oggi nel mondo delle miniere dello zolfo rimane ben poco, l’unico sito protetto è quello della Floristella Gallizzi, che da qualche anno è divenuto parco Archeologico minerario, le altre miniere sono invece luogo di razzie e in poco tempo sono state ridotte a ruderi spogliati di ogni oggetto di valore.
FLORISTELLA
panoramica del bacino.
Posta vicino alla Grottacalda,
la Floristella dei baroni Pennisi, produceva un minerale migliore con una resa del 27%, detto "Giallo superiore"
Era la più ambita dagli operai in virtù della maggiore sicurezza del suo sottosuolo.
Giummentaro, tra le ultime a chiudere, è stata derubata persino dei fili elettrici, delle tegole, della recinzione, cancellando così ogni possibile recupero della storia sociale e lavorativa del nostro territorio.
Per questo diviene importante sostenere e garantire quelle azioni che possono dare spazio alla memoria ed alla ricerca nel settore, come Pino Vicari, che ha messo a disposizione i suoi ricordi, la sua memoria a favore di una Memoria collettiva conscia e criticamente capace di guardare al futuro ed alla globalizzazione con la consapevolezza di un passato di fatiche e sudori ma anche di conquiste e di civiltà. ( Salvatore Termine)
Floristella
anni ‘80
Esterno di miniera, 1905 c.a.
Si nota la struttura del pozzo da dove venivano saliti in superfice i vagoncini.
Sulla sinistra abitazioni di minatori, in basso un “Calcherone”e varie forme di zolfo fuso e rappreso
Esterno di miniera,
L'impianto è collocato a mezza costa di una collina, si vedono gli alloggi per i minatori, i forni Gill ed alcuni "Calcheroni", più antichi.
Ambedue le tipologie di forno servivano per la fusione dello zolfo, ma rappresentano due generazioni tecnologiche diverse.
Primi anni del XX secolo.
Un centinaio di zolfatari dinanzi ad una miniera di media grandezza.
L'abbigliamento è poverissimo e compaiono molti giovani e ragazzini.
Il sorvegliante porta una sorta di "sombrero".
Primi anni del XX secolo.
Lavoratori in una miniera "media".
Si vedono sia "carusi", ragazzini, che uomini di mezza età ed anziani.
Spicca con la barba il sorvegliante.
Discarica esterna.
Ivi il minerale solfifero veniva scaricato dai muli o dai vagoncini
successivamente veniva caricato a spalla verso i forni, Calcheroni o forni Gill.
Nella foto si vedono dei bambini intenti a portare gravosi carichi passando d'innanzi al tavolo dell'addetto alla conta.
Preparazione dei "panetti".
La foto ritrae una miniera con vagoncini motorizzati.
Ivi sono dei carusi intenti a trasportare l'acqua con la quale verranno impastati residui più minuti del minerale solfifero.
L'impasto , collocato in delle forme verrà, una volta asciugatosi, sistemato all'interno dei forni per la fusione.
Interno di miniera.
L'asino, quasi cieco per l'abitudine al buio, veniva utilizzato per trainare i vagoncini fino al pozzo di risalita.
Esterno di miniera, si vede il completamento della copertura di un Calcherone.
Castelletto metallico di un pozzo con ascensore.
Vicino si vedono alcune forme "balate" di zolfo fusoe rappreso,
pronte per essere caricate sui carri e poi sui vagoni ferroviari
Addetto alla pesatura,
un antica stadera veniva utilizzata per pesare il materiale lavorato da ogni lavoratore e per stabilire la paga.
Come sempre tra i minatori si vedono i poveri carusi.
1940 ca,
in miniera arrivavano le nuove tecnologie,
camion al posto dei carri oltre ai nuovi forni Gill,
conici e coperti dal tetto contro la pioggia che sino a quel momento fermava la fusione.
Metà del XX secolo,
Interno di una miniera, una squadra di minatori si reca al cantiere di coltivazione.
Compaiono i lumi a batteria molto meno pericolosi delle fiammelle ad acetilene.
Interno di miniera,
dopo la brillatura delle mine,
i minatori usano lunghe pertiche d'acciaio per far crollare il minerale solfifero dalla volta delle gallerie.
Interno di miniera.
dopo la scoppio delle mine i pezzi più grossi vengono raccolti e trasportati a spalla.
"Vagonari",
a volte , nelle gallerie ove era impossibile l'uso di bestie da soma,
venivano trasportati direttamente dagli operai.
In genere il vagoncino veniva trasportato sino ad una discarica interna dalla quale sarebbe poi stato portato all'ascensore e quindi all'esterno.
Decennio '50 '60,
in miniera arrivano i martelli pneumatici.
Galleria a gradini,
questa tipologia di scavo venne sostituita dagli ascensori,
ma nelle miniere minori la scala rimase l'unica via di entrata e di uscita ed il trasporto rimase a spalla.
Uscita dalla miniera.
Qui un adulto toglieva il carico "stirraturi" dalle spalle dei carusi.
un cesto pesava in media dai 15 ai 20 chili ed il lavoro di un caruso durava da 8 a 10 ore al giorno.
Giovani carusi scalzi con sacchi di minerale sulle spalle.
A differenza dello stirraturi un sacco poteva contenere sino a 20-25 chili di materiale.
Carusi con i "pizzami" sulle spalle.
Anni '50.
Un picchetto di operai durante l'occupazione di una miniera
Anni '50.
Operai in sciopero dentro una miniera, è l'epoca della sindacalizzazione degli operai,
le ultime manifestazioni erano state quelle del periodo dei fasci siciliani, non di rado sedate nel sangue.
Dinanzia i forni, l'"Ardituri" inizia a bucare il muro per provocare la fuoriuscita del minerale fuso.
La resa del minerale variava a seconda dello zolfo contenuto dal grezzo.
Il fiotto dello zolfo fuso durava anche settimane
e, giorno e notte, gli addetti dovevano incanalare il liquido incandescente nelle forme "gavite".
Il conto delle gavite veniva tenuto dagli addetti sulla tavola posta sul muro.
Una gavita veniva riempita da circa 50 chili di zolfo fuso.
Dinanzi ai forni Gill a batteria vengono impostate le forme già raffeddate.
Solfara Iunco Testasecca,
squadra di soccorso con le attrezzature per l’autorespirazione
Solfara di Grottacalda, 1905, il servizio della Croce Rossa
Solfara di grottacalda.
1905 ca. , ivi venne sperimentata la fusione con il vapore.
Gli alti costi finirono per scoraggiare la compagnia Anglo Sicilian Sulphur Company.
Contemporaneamente in Louisiana U.S.A, veniva scoperto un giacimento di zolfo coltivabile con il metodo Frash,
capace di rendere estremamente concorrenziale lo zolfo americano verso quello siciliano.
La ferrovia. Una linea a scartamento ridotto, i cui resti sono ancora oggi visibili,
serviva l'intera area del centro Sicilia, da Caltagirone a Nicosia.
Da questa , alla stazione di Dittaino venivano caricati i vagoni delle Ferrovie dello stato verso Catania e le raffinerie (odierne Ciminiere).
Un'altra linea nacque per l'area villarosana di Gaspa Respica.
Il palazzo Pennisi di Floristella, visto dalla vallata della miniera.
Oggi il rudere è stato acquisito dal Parco Archeologico minerario
di Floristella e Grottacalda per trasformarlo in museo della civiltà mineraria
La Gerarchia in miniera |
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Figura |
Ruolo |
Caruso |
Giovanetto dagli 8 ai 14 anni, addetto al trasporto a spalla , sia in galleria che sul piazzale, del materiale scavato.I carusi o utilizzavano un canestro, lo “stirraturi” di circa 15/20 Kg. O i sacchi di 20/25 Kg.. Il loro turno sul “calature”, le galleria di accesso in miniera, duravano almeno dieci ore. |
Pirriaturi |
Il picconiere, rappresentava il fulcro della attività estrattiva e viveva la sua giornata “la fronte” di coltivazione. Era coadivato dal manovale, addetto alla insaccatura dei sacchi o degli stirraturi. |
Partitanti |
Colui che sovraintendeva al riempimento del forno di fusione. Inizialmente piccoli forni circolari delle “carcarelle” poi, a partire dalla metà del XIX secolo grandi forni circolari capaci di contenere sino a 200 metri cubi di materiale solfifero grezzo, i “ Carcaruna”, infine i Forni Gill, più piccoli ma moloto più efficenti e capaci di condividere il calore tra loro. |
Inchituri |
Addetto al riempimentodel forno ed alla copertura a cono , in genere aiutato da carusi. |
Scarcaturi |
Addetto allo svuotamento dei forni ad esaurimento del ciclo di fudsione ed ala depositi dei rosticci, le scorie, nelle grandi discariche dette “ginisara” che ancora oggi sono, con il loro colore rosato, una caratteristica paesagistica saliente delle aree minerarie. |
Ardituri |
La figura specializzata nel governo del forno, dalla accensione alla apertura della bocca di fuoriuscita del fiotto di zolfo fuso, “u purtusu da morti”. |
Capu masciu |
Il sovrintentende al lavoro dell’intera miniera, nelle miniere migliori coincideva con il proprietario o il gabelloto, nelle maggiori i capi masci potevano essere diretti da un perito minerario o da un ingegnere minerario. |
Musica di "I Petri ca addumano" , dall'album Cuccurucuntu