ENNA al tempo della grande carestia - Il Campanile Enna

Vai ai contenuti

ENNA al tempo della grande carestia

Storia di Enna




Il Seicento fu duramente segnato da epidemie di peste e da ricorrenti carestie.

In tutto questo scenario facevano buon gioco speculazioni di ogni tipo sul prezzo del grano: “gli frumentarij — si legge in una cronaca dell’epoca — non curandosi di venderlo d’alto prezzo, lo nascosero per volerne prezzo altissimo. Quando più si facevano inquisitioni dagli Regii Patrimoniali (perché essi pure sono fromentarij) tanto maggiormente si nascosero il grano: e la gente moria in tutto il regno”.

La crisi di sussistenza divenne particolarmente acuta negli anni quaranta. Tra il 1646 e il 1648  6.000 cittadini ennesi (un terzo della popolazione) muoiono per la fame.

Sono, per intenderci, gli anni della rivolta di Masaniello a Napoli e di Giuseppe D’Alesi in Sicilia.


Giovanni Di Blasi in “Storia cronologia dei vicerè luogotenti e presidenti del regno di Sicilia” del 1842 ci fa una cronaca della carestia a Palermo:

“ Il vicerè si affrettò a tornare a Palermo, dove temea che la carestia non cagionasse un pari disordine. Vi giunse egli nei primi di febbraro del 1647, e ai 20 del mese celebrò nel duomo coll’intervento del senato, e del sacro consiglio i funerali del principe ereditario. Trovò egli con suo sorprendimento la città più popolata, che pochi mesi prima, quando ei partì, non era. La scarsezza dei grani vi avea attirate dalle vicine terre, e città innumerabili persone, le quali spinte dalla fame correano alla capitale, come alla comune patria. Il senato di Palermo era nelle estreme angustie; di giorno in giorno arrivavano delle storme di uomini, e di donne per sfamarsi; e perciò il grano provisto non era più sufficiente a satollare questa moltitudine. Non ardiva di minorare il pane, era troppo recente il triste esempio dei senatori messinesi; e perciò comprava a qualsivoglia eccessivo prezzo i frumenti per tenervi l’abbondanza ; né curarva la perdita considerabile, che facea. Era fama, che ne montasse il danno a cinquecento scudi al giorno; ma lusinga vasi sempre che collo imminente raccolto ne avrebbe rimarginato le piaghe. Queste speranze però cominciarono a seccarsi nel suo primo nascere, l’inverno fu piovosissimo nel suo principio, e i grani seminati si infracidarono; in guisa che fu di mestieri di nuovamente sementare, il che fe considerevolmente diminuire la somma dei frumenti, ch’era nel regno. Dopo questo secondo seminamento si serrò per modo il cielo, e fu così avaro delle sue acque, che cessò ogni aspettazione di una copiosa messe. Si sentì allora tutto l’orrore della vicina micidiale fame, e questo crebbe dal vedersi recisa ogni speme di essere soccorsi dalla vicina Calabria, che sofferti avea gli stessi disastri. Arroggevasi a questi infortuni una fiera epidemia, che suole per lo più esser compagna della carestia, la quale mieteva a migliaia le vite degli uomini. Apportava questa una febbre d’indole maligna , cui i medici non avrebbero potuto apportar rimedio; e vuolsi che nella sola città di Palermo questo pernicioso male abbia recise da diecimila teste.”



Questa grave crisi perdurò lungo tutto il ’600, oltre fattori naturali quali le epidemie di peste ed le avverse condizioni metereologiche perduranti di anno in anno, intervenirono fattori  “umani” come  la speculazione dei “frumentarii” i latifondisti che controllavano la produzione e la commercializzazione del grano.

Eppure nel corso del ‘500 era sembrato che per la Sicilia le cose cominciassero ad andare meglio grazie alla ripresa del ruolo nel controllo dell’intero mediterraneo nel contrasto contro il pericolo turco.

La strategia militare spostò le opere di fortificazione sulla linea delle coste che diventarono “frontiera militare”. Le città dell’interno, tra cui Enna, persero invece il loro ruolo militare di difesa acquisendone un altro molto importante: quello della produzione cerealicola sia per il consumo interno che per l’esportazione.

L’entroterra diventò così una risorsa da proteggere e tutelare, soprattutto l’area dei monti Erei. In questo contesto Enna si presenta come la città più importante della Sicilia interna, per la sua posizione centrale, per la densità abitativa, per la sua demanialità in un contesto ancora feudale. Si realizza così nei primi decenni del ’500 una “congiuntura economica” favorevole che crea le condizioni per la ripresa della città. Enna passa dai 12000 abitanti del 1505 ai 17000 del 1548 nonostante la peste del 1523 per cui fu chiesto una sorta di “stato di calamità” per ottenere una riduzione delle tasse  (la peste lascia immune solo un quartiere della città, San Pietro, in cui i cittadini si trincerano creando una cordone sanitario efficace contro il morbo). Nel 1583 la città raggiunge i 20000 abitanti, essendo rimasta fortunatamente immune dalla peste del 1575 che falcidiò tutto il regno da Messina a Siracusa, e diviene la quinta città di Sicilia dopo Palermo,Messina, Catania e Nicosia.


La necessità di una riforma agraria  

Aumentare la produzione agricola non era semplice, il  latifondo cerealicolo e pastorizio presentava numerose criticità: la densità della popolazione era scarsa e le comunità erano concentrate sulle alture in piccole cittadine e borghi interni, l’impostazione viaria era ancora basata sull’impianto della antica viabilità romana che avveniva praticamente attraverso il sistema delle trazzere, poche erano le  masserie abitate, ridotta la mobilità di uomini e di mezzi, e la grande distanza fra i pochi centri abitati limitava il campo d’azione del lavoro agricolo all’intorno dei centri abitati determinando una ridotta estensione dei campi lavorati. Per  procurare la messa a coltura di ulteriori superfici agrarie era necessario la formazione di centri di popolamento rurali, piccole città di nuovo impianto o anche ripopolare antichi casali, in grado comunque di invogliare gli abitanti delle città vicine a trasferirvisi.

Per favorire questo processo di colonizzazione contadina molto dispendioso,  le autorità di governo vicereale avviano una “riforma agraria” incoraggiando il baronato siciliano a chiedere il beneplacito della Corona ad edificare e ripopolare nuove aree con la "licentia populandi" in cambio della promozione ai gradi superiori della gerarchia feudale. Chi fonda un nuovo stanziamento con almeno 80 famiglie, circa 400 abitanti, viene ammesso a far parte del braccio militare nel parlamento siciliano di Palermo. Fondare un nuovo centro abitato, comporta così numerosi vantaggi per l'importanza congiunta degli aspetti economici e politici: dalla messa a coltura di nuove terre, che garantisce il rifornimento cerearicolo del mercato interno ed estero, con consistenti guadagni materiali, al ‘fascino’ per la classe nobiliare, dell'esercizio del potere da cui deriva prestigio alla grande e piccola scala geografica.

Della numerosa nobiltà ennese solo il Barone Grimaldi chiede ed ottiene la "licentia populandi" il 31 luglio 1572, per insediare il nuovo centro abitato di Santa Caterina.


La "licentia populandi" di Leonforte

*Allo stesso modo viene fondato Leonforte.

L'iniziativa è assunta da Niccolò Placido Branciforti che non appartiene all'oligarchia cittadina ennese, ma fa parte dell'aristocrazia di alto rango ed è imparentato con la ricca e potente casata dei Moncada. I membri della famiglia Branciforti godono di grande influenza presso i giurati dell'Università di Enna.

Il Branciforti, titolare del feudo di Tavi, sulle pendici degli Erei sul lato orientale del  territorio ennese, che si presta egregiamente alle colture cerealicole ed all'allevamento del bestiame, è anche feudatario della contea di Raccuia, piccolo centro abitato dei Nèbrodi, ad oltre 600 metri in posizione di media collina, assai adatto alla coltivazione della seta ma del tutto inadeguato per la coltura cerealicola; poichè l'economia dei Branciforti è incentrata in maniera quasi totale sul rapporto tra i due possedimenti feudali, per essi è fondamentale potenziare l'uno per sostentare l'altro. Raccuia produce quantitativi di seta assai rilevanti che si vendono sulle piazze di Messina e Palermo, ma deve approvvigionarsi in granaglie e prodotti armentizi con forti aggravi.

Niccolò Placido Branciforti decide così di insediare a Tavi una popolazione di contadini per dar vita ad una nuova cittadina che chiama I.eonforte.

Il feudo di Tavi, già a partire dalla fine del Cinquecento, è dotato di una serie di strutture di supporto alla produzione agricola, e nel giro di pochi anni, a partire dal 1608, sulla base di un investimento di 16.000 onze, viene costruito un vero e proprio villaggio con 500 case per i nuovi vassalli, il palazzo baronale, la chiesa, la stalla, altri magazzini e molti mulini. A sanatoria, il 30 ottobre 1610. Branciforti chiede al vicerè la "licentia populandi", la quale. ottiene l'approvazione reale il 1 febbraio 1613 e diviene esecutoria il 2 aprile 1614.

I giurati ennesi non pongono difficoltà di sorta alla creazione del nuovo insediamento, grazie all'ascendente politico del Branciforte, anche se successivamente, soprattutto negli anni tra il 1646 ed il 1654, l’epoca della carestia, appare chiaro a tutti il non vantaggio per la città del nuovo centro di colonizzazione, la cui copiosa produzione serve soltanto l'abitato di Raccuia e gli interessi del Branciforti. Grazie alla “licenza populandi”, da alcuni decenni il territorio dove sorge la nuova città di  Leonforte, si era  reso autonomo al controllo amministrativo ed economico dell’Università di Enna.  Era stata grande l’influenza dei Branciforte sui giurati Ennesi che avevano concesso così autonomia ad un territorio fertile prossimo ad Enna. I Branciforte privarono l' annona cittadina dell'approvvigionamento di granaglie necessarie, acquistando a prezzi "calmierati" grandi quantità di frumento dai feudi ennesi di Buzzetta, Bombinetto e Muncipa per integrare la produzione di Leonforte.

E per Enna fu la fame.

Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel “Gattopardo” fa dire al principe di Salina “Tutto cambia per non cambiare nulla”, la “riforma agraria” degli anni tra il ‘500 ed il ‘600 alla fine consolidò il potere ed il controllo assoluto sulle risorse agricole dei feudatari latifondisti. Le conseguenze di tutto questo perdurarono fino agli anni ‘60 del secolo scorso.   


Bibliografia:

- G. Di Blasi “Storia cronologia dei vicerè luogotenti e presidenti del regno di Sicilia” del 1842

- * Cfr. Carmelo Severino, Enna la città al centro, Gangemi ed.

- Mercato delle maraviglie della natura, Cav. N. Serpetro,1653





Torna ai contenuti