Salvatore Presti
Salvatore Presti
E’uscito nei giorni scorsi il libro “Enna, il filo della memoria”. Ne è autore Salvatore Presti, da qualche anno collaboratore del nostro sito Il Campanile. Nel volume sono raccolti una selezione di articoli pubblicati dal 2002 ad oggi sul Giornale di Sicilia, su Siti web, su periodici e riviste locali, suddivisi in sezioni tematiche. Una sequenza di “racconti”, di fatti, avvenimenti, ricorrenze, costumi, personaggi, tradizioni, si intrecciano come in una trama, in quel “filo della memoria” che è il nostro vissuto. “L’autore racconta, con un occhio al passato e uno al futuro, tra storia, arte, cultura e umanità, tra tempo e spazio, il ritratto tutto tondo di una città, Enna, quale era e quale è, in un bilancio non sempre positivo tra ciò che si è perso e ciò che si è guadagnato”, ha scritto Cinzia Farina nella prefazione. Salvatore Presti, geometra, per oltre trent’anni è stato dirigente presso l’Ufficio tecnico del Comune. Dopo il pensionamento si è dedicato con passione a gestire l’attività commerciale del negozio di abbigliamento maschile di via Roma che si tramanda da padre in figlio sin dal 1926, posto in quel tratto di strada “da Balata a Santumasi” e, nel tempo libero, a scrivere su argomenti di storia patria. Il libro, pag. 260, edito dalla NovaGraf , Assoro, è disponibile nelle librerie e nelle edicole al prezzo di € 18.
Quanti ennesi sanno che in città esisteva il Cinema Carota, a poco più di un decennio dai Lumière, fornito perfino di ventilatori? O che al Supercinema Grivi la proiezione del giovedì sera si interrompeva alle otto e mezza perché non si poteva mancare l'appuntamento settimanale con “Lascia o raddoppia”? Che una delle foto più famose del grandissimo Robert Capa – un contadino che indica la strada a un soldato americano accovacciato – fu scattata a Sperlinga e che a Enna passarono Bartali e Coppi?
Salvatore Presti ce lo racconta, in questo volume che raccoglie tanti dei suoi pezzi scritti con un occhio al passato e uno al futuro, spirito e penna su un presente così spesso superficiale e distratto. Ne viene fuori – tra storia, arte, cultura e umanità, tra tempo e spazio – il ritratto a tutto tondo di una città. Enna quale era e quale è, in un bilancio non sempre positivo tra ciò che si è perso e ciò che si è guadagnato. Al centro un legame, un filo, che non è solo quello della memoria ma quello – incarnato e infinitamente ramificato – delle radici. Un filo che unisce e lega cose, fatti, persone, generazioni, facendosi via via trama e ordito di un tessuto limpido, esatto e forte come il lino.
Grandi eventi e quotidianità, personaggi illustri e gente comune, storia e cronaca minuta, sacro e profano, arte e artigianato, topografia e tradizioni. La città materiale e quella immateriale dei simboli, narrata con la partecipazione di chi sente le vite passate intrecciate indissolubilmente alla propria, di chi avverte “il suono delle anime, il battito dei cuori” e cerca eco e risposta in chi legge, in altri giovani cuori, perché la tessitura possa essere, come la vita, infinita. Un patrimonio prezioso ricostruito con la dedizione di chi ha saputo serbare memorie che costituiscono lo spessore della sua umanità, nella consapevolezza di un vissuto identitario che è personale e collettivo insieme.
Parte dalla notizia – Presti – che innesca il processo a catena del ricordare. Da buona “penna” cerca fonti e dati, legge libri e spulcia archivi. Per questa via giunge a quella particolare dimensione in cui lo scritto, né aneddoto né pagina “culta”, si fa quadro vivente, ritratto. E qui un'infinità di dettagli trova il suo posto. Note, curiosità, nomi e soprannomi, numeri. Un riferire, da inguaribile archivista, di pratiche burocratiche, date, costi, verbali e atti amministrativi, ma anche di amori imprevisti, battaglie, botteghe, famiglie artigiane e utensili di lavoro, tipi di gelati granite e caffè, del grande come del piccolo gesto, del talento illustre come di quello più umile e nascosto. Un catalogo minuzioso e concreto – niente vada perduto – che potrebbe essere arido e invece contribuisce fortemente a evocare un clima, quell'atmosfera di “casa” in cui ci si riconosce. Radicato non solo nell'amore per questa città ma in un'etica del rispetto per ogni azione umana che rende giustizia a quanti – nell'ombra o in piena luce – tra le pieghe del tempo, furono.
Il tutto in una prosa onesta e “naturalmente” curata, aliena da barocchismi, garbata e dal tocco leggero. In un registro che spazia dalla sapidità briosa (la casa di tolleranza, i veglioni, l'imbarazzante black out da eccesso di zelo per la visita di Mussolini) alla commozione (i soldati-bambini, il razionamento, la morte atroce di tanti nel ricovero di Via S. Agata) – colpisce soprattutto la declinazione sensoriale del racconto. Tanto da renderci partecipi – occhi e orecchie – dell'animazione di un quartiere come la vecchia Piazzetta Santa Lucia, con i bomboloni dolci, i bbummuli, i cìciri caliàti, i “gridi” degli ambulanti e i ragazzini che vi stazionavano tutto il giorno. Sembra di essere lì, all'aperto nei quartieri più alti della montagna quando arrivarono alle prime luci dell'alba le colonne americane, tra il frastuono dei blindati, o quando negli scontri precedenti “dal Belvedere si udiva il fragore dei mortai e si videro i bagliori dell’artiglieria pesante”. Ci ritroviamo insieme ai bambini col naso schiacciato sulle vetrine di Angelo Restivo & Figlio piene di giocattoli per la Festa dei Morti; con le donne al lavoro del pane o “all'acqua” di Papardura, a lavare lana, figli e lenzuola; con gli uomini, fra carte da gioco e giornale, musica e calendari osé profumati di viola, nel chiacchiericcio dei “Saloni” da barbiere dalle grandi specchiere scolpite. Assistiamo, e ci pare proprio di vedere e sentire, all'arrivo discreto delle “signorine” nella “Casa” della sciata 'u pupulu, o all'allegra processione dei giocatori del Palermo Calcio che, trasferiti a Enna per la preparazione atletica, ogni mattina attraversavano a piedi tutta la città dall'Hotel Belvedere dove risiedevano fino alla Torre di Federico e il Campo Generale Gaeta…
Memorie che sollevano nostalgia. Sottotraccia a volte, a volte dichiarato, l'inevitabile confronto tra ciò che fu e ciò che è. L'amarezza per i sogni traditi, la tristezza per i progetti abbandonati, la delusione prodotta dal degrado. Come non rabbrividire, di fronte al diario terribile – preciso, asciutto e minuzioso – delle manomissioni, scempi e devastazioni di quel piccone demolitore che stravolse la fisionomia della città?
Cinzia Farina
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