I Quattro Vicari del Regno - Il Campanile Enna

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I Quattro Vicari del Regno

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Storia medievale di Sicilia

I QUATTRO VICARI DEL REGNO
di Giuseppe Mistretta
Post inserito il 01/03/2022
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Certe antiche pagine di storia siciliana medievale, non come miti nei luoghi e nel mistero, piuttosto nelle genti e nell'intrigo, propongono tutti gli ingredienti del romanzo d'autore.
Questa storia apre uno scenario intimo sulle famiglie notabili dell'isola, quelle che pur d'origini di Casa di Francia, Catalogna, Sveva, Germanica, Normanna, Lombarda... che fossero, una volta insediate nell'isola e miscelate tra di loro, non vollero più andarsene via.
Vincenzo Palizzolo Gravina, letterato araldologo, noto agli storici, non solo per i suoi compendi pubblicati a Napoli a metà Ottocento, definisce queste famiglie malgrado tutto, promotrici di nuovi borghi e villaggi.
Alcuni saranno grandi e potenti come e più delle città.
Sarà il caso del borgo normanno-aragonese di Calascibetta, che avrà il 24 posto nel Parlamento di Sicilia, ben sopra le possibilità di centri come Caltanissetta.
Tanta roba e tanta storia svelata in luoghi diversi; Castello Ursino, piazza S.Fracesco ad Enna, il castello dei Ventimiglia ad Alcamo, quello di Aci, Falconara, dei Conti di Modica, Alcamo, Augusta.. insomma ogni castello e feudo cum borgo di Sicilia, fu nel 300 coinvolto direttamente o indirettamente, nella vicenda dei 4 vicari, che ebbe lungaggini per quasi un decennio.
Cosa accadde..

A Federico III d'Aragona, il re medievale più amato dai siciliani, non meno di Ruggero II d'Hauteville, subentrò il figlio Pietro, che deceduto  nel 1342 in Calascibetta, fu sepolto con gli svevi e normanni lontani parenti, nella Cattedrale di Palermo. A a questi, subentrò Federico IV di Sicilia.
Da padre in figlio stessa -Linea Aragonese- ed in piccola parte sveva. Il re aragonese Pietro, morto troppo in fretta e tempi difficili, fu seppellito nella cattedrale di Palermo, entro il medesimo rosso porfido egiziano dell'imperatore Svevo.
Le guerre non permisero i riti dovuti ai re, e sulle necessità di Stato, prevalsero quelle dei casati filo-svevi.  
Come il padre Federico III aveva lasciato in Enna numerose tracce del suo passaggio, la Torre ottagona ( vedi Bersc e Maurici,i castelli demaniali di Sicilia, Paolo Vetri, Storia di Enna)
i lavori al Castello e l' impianto del Duomo, anche il Re Pietro lasciò la sua impronta, trasformando il castello Normanno di Calascibetta, opera del Conte Ruggero d'Hauteville, nato per fare la guerra ai Saraceni insediati, in una immensa Regia Cappella catalana in chiave simbolica gotica.
Federico III
d'Aragona
Re di Sicilia
Accade che con Federico IV la linea aragonese venga compromessa.
Il re avrà solo una figlia nata da nozze ufficiali e avrà il nome di Maria.
Qui entrerebbero in scena processioni, abiti, riti e quella chiesa del 300, di rito latino, che epurava dai bizantinismi le tradizioni e la cultura isolana trascorsa da poco e da tanto, vedi i culti misterici su cui intervenne ancora Martino. Diversamente dagli Svevi, la cultura medioevale aragonese troverà la sua forza nella leva religiosa. L'affiancamento dei programmi politici dei pontefici sarà proficuo agli aragonesi nella resistenza agli attacchi stranieri e sortirà benefici dell'attaccamento del popolo fedele ai catalani.
Insopportabile ai normanni-svevi questo sentire e procedere, nel proliferare casati che giungono d'oltre i Pirenei e più a sud, dalle contee catalane di Lérida, Tarragona, Gerona e Barcellona.
La devozione degli aragonesi alla figura della Madonna è testimone del secolare spirito catalano religioso. Questo aspetto l'isola con Federico III d'Aragona, Re di Sicilia,  lo aveva già ampiamente conosciuto ed assorbito, sia pur a tratti e piccole dosi, accette e protestate, nella sua cultura e nelle sue tradizioni.
Con Maria aragonese e pure il duca Martino re consorte, la religione cattolica in Sicilia avrà quell'impennata che bizantini, svevi, angioini e persino i primi aragonesi non seppero o non vollero provocare.
Il tratto di tempo interessato da questa storia, tira in ballo non uno, ma due pontefici, papa Urbano VI e Bonifacio IX suo successore.
Dedicheremo una lettura intera alle sole regine di Sicilia del 300, per dovere nostro e meriti loro.
In questo caso, per come vollero i cronisti del tempo, "...la storia la fecero i soli uomini" e noi racconteremo giusto di quelli, per curiosare se gli antichi -inscrittori- furono sinceri, oppure se le donne ressero e risorsero, con gran meraviglia e dramma per certi uomini, malgrado fossero state accuratamente disarmate e private di ogni libertà. Alcuni storici teorizzano che il buon re Federico III d'Aragona fece una gran sciocchezza nella sua vita, nel regno di Sicilia pensò di escludere le donne, le figlie primigenie, dalla discendenza Aragonese reale diretta. Funzionò per mezzo secolo, ma poi, giusto questo suo rigido provvedimento, complicò il trapasso in pace al successore Federico IV d"Aragona, allor quando rimasto nella discendenza senza figli maschi, ebbe questo sire a rivedere tutti i suoi piani politici. Potremmo al contempo dedurre plausibilmente che il provvedimento di Federico III d'Aragona fu -Una Veggenza- provata, una legge così illuminata da impedire il danno irreparabile futuro, quando si presenta con il tradimento degli ideali e dei principi dello Stato.
La Regina
Maria
(P Giovanni
Cappucciono)
Il re Federico IV un figlio maschio in vero ce l'aveva, al duca, che i cronisti disser -aragonese mezzo sangue-, diede il nome di Guglielmo. Pur essendo nato questi da unione in more uxorio cum concubina di corte, Guglielmo d'Aragona, non fu tenuto nascosto anzi educato e cresciuto come un principe vero. Generoso sino alla fine il re a Guglielmo lasciò il governo delle isole di Gozo e di Malta ove in quel tempo, reggeva l'ordine templare il leggendario gran maestro Jacques de Molay. Muore il duca di Atene e Neopatria Federico IV, re di Sicilia di linea Aragonese catalana a Messina nell'a.D 1377. Dalla morte dell'imperatore Federico II lo Svevo, sono trascorsi 127 anni e conosciamo bene quanti sovrani si sono succeduti in meno di un secolo e mezzo. A quel tempo anche i re venivano presi di mira dalle -ingiurie- coniate dal popolo, ma anche dai nobili e alti prelati.
I nomignoli delineavano solitamente il carattere e lo spirito dei sovrani: - il malo-, -il terror mundi- -il giovane- -il vecchio- -il santo- -l'anticristo--il gentile-...
Con la morte del -Semplice-, com'era inteso a fine 1300 Federico IV d'Aragona, venne ad ereditare il regno l'unica figlia, Maria di Sicilia, che in quel tempo era poco più che una bambina.
Per farlo il re dovette correggere le "vecchie" leggi a proposito di successioni. Dovette, anche per dar seguito agli impegni pregressi presi col Ducato di Milano rimasti in aria. Gli ultimi anni del re Federico IV, furono spesi nella speranza di dare un erede maschio al regno di Sicilia.
Nelle trame di quei regi matrimoni contratti, questo Aragonese, andando contro ogni logica di casato e protezione dei privilegi dei nobili di Sicilia, aveva accettato di sposare una duchessa Visconti. I giochi erano fatti e pronti per esser divulgati come prossime seconde nozze, ma non essendo questo regio contratto, per causa mortem, andato in porto, merce di scambio matrimoniale tra Lombardia e Sicilia divenne per riflesso la giovane figlia Maria di Sicilia.
A proposito di successioni del Regno di Sicilia, vi erano come si è delineato degli impegni presi più o meno resi pubblici.
Castello
Ursino
Catania
Ciò nonostante, non possiamo omettere il peso delle famiglie nobili siciliane, le quali in barba a leggi e regi eserciti, in quel tempo con i loro Castrum cum borghi e città, e migliaia di genti devote, governavano estesi territori dell'isola più grande del mediterraneo.
Il re Federico IV per evitare che i casati più ricchi e potenti presenti in Sicilia, potessero non avvalorare la sua scelta dinastica, ma anzi approfittare del momento della sua morte per consegnare il regno agli angioini, essendo Maria ancora giovanissima e dovendo il regno di Sicilia tenere sino al  matrimonio della ragazzina, pensò bene di chiarire con il solo fidatissimo, il Conte Artale Alagona figlio di Blasco.
A questi nobile e valoroso che già aveva insignito Gran Giustiziere del Regno di Sicilia, consegnò il vecchio re Federico IV morente la sua unica figlia in tutela, spiegando passo passo il suo disegno politico, facendo sì che il conte Alagona signore di Catania e delle Aci, giurasse solennemente di fare ogni cosa umanamente possibile, per portare il volere del re a compimento.
Avendo le famiglie nobili col fiato sul collo e la figlia femmina, il re per fare in modo che il suo piano anche dopo la sua morte fosse portato a compimento, dovette intentare una farsa, dividendo l'isola in quattro Contee e destinarle ai quattro più grandi e più temibili casati del 300 siciliano.
L'idea di nominare il conte catalano vicerè provvisorio Artale Alagona, giacché nominato reggente del Regno, fu perentoriamente rifiutata dai consigli dei nobili, pronti a scendere in campo per far guerra.
Fosse stato giovane Federico IV quella guerra l'avrebbe pure fatta, ma poiché era morente, dovette il re scendere a compromessi con i più agguerriti e potenti di loro, Conti capi delegazioni.
Furono chiamati Il tutore della principessa Conte Artale Aragona, figlio di Blasco, catalano, il Conte Enrico III Rosso Ventimiglia di Lauria, il Conte Guglielmo Peralta ed il più temuto e potenti di loro, il Conte Manfredi III Chiaramonte, che morì di vecchiaia a cui successe Andrea.  Questo ultimo conte che entra nella storia dei monumenti di Enna e di Palermo e di una serie lunghissima di altre città siciliane, non fu figlio Mandredi il ribelle, fu ma capro espiatorio, giacché nella vicenda dei 4 Vicari, a questi, Andrea dei Chiaramonte, dopo un solo anno di attività anti-catalana, fu mozzata la testa in pubblico a Palermo, innanzi il palazzo Steri di famiglia, ove già il Manfredi III come un re viveva con la sua ricca corte catalana.
A loro Conti, con lo stemma Araldico altissimo che vantava la corona medesima a quelli dei principi, quella dei terzi più grandi del regno, già proprietari di numerosi feudi, con il regio dono di altri immensi, il re Federico IV  nella divisione dell'isola in quattro vicariati, cum super visore il Conte Artale Alagona, fu concesso  in -virtute rege ultra excetionali- di governare (come piccoli re) Contee di dimensioni straordinarie e sostanzialmente, su ogni centimetro dell'isola a loro dovuta per titoli e matrimoni.
Tale il regio provvedimento in extremis, in attesa che trascorsi alcuni anni la principessa Maria, non accettata in linea diretta, generasse il figlio che avrebbe ereditato la corona di Sicilia mettendo così tutti d'accordo, conditio sine qua non.
La posta in ballo fu altissima. Si trattava di timori, di avidità, di cattivi consigli e di contrasti tra forze e debolezze secretate. I 4 conti vicari morto il re e presa in tutela la principessa Artale Alagona presso l'Ursino, ben presto furono in attrito e si formarono delle fazioni assai bellicose tra casati e borghi e città e genti. Il papa e gli angioini volevano anche loro mettere le mani nel regno di Sicilia ed impedire i piani di Federico IV.
Il papa Urbano cercava di impedire che il regno di Sicilia si saldasse con il Ducato di Milano, i francesi, volevano il regno ed impedire sia il gioco di Artale Alagona che quello dei Catalani. I Chiaramontani avrebbero di buon grado fatto sposare Maria ad un duca del loro casato, fosse costato 10 o 20 feudi.
Si aprì uno scenario di interessi molto sottile e vasto. Crediamo che in questa storia ci sia abbastanza da ritenere che vi furono inflessioni di spie ed emissari del Ducato di Milano, dei pontefici (2), degli angioini, e in particolare, di re Pietro d'Aragona, padre di Martino, che l'avrà vinta su tutti grazie al secolare buon rapporto tra catalani e pontefici.Il primo vicario Artale Alagona in principio fu fedele alla promessa fatta al re. Custodiva e guardava a vista la piccola principessa Maria, di cui egli era regio tutore, tenendola al sicuro a Catania, ove la piccola era nata e dove egli era signore di città, chiusa entro le mura del possente castello svevo Ursino.
Le famiglie notabili di Sicilia intrigate per radici e schierate nelle fazioni filo-angioine, sveve/chiaramontane o filo-aragonesi, non accettavano la reggenza del Regno, ceduta dal re defunto al Conte primo vicario Alagona. Peggio ancora, il piano di Federico IV di fare sposare la principessa Maria ad un Visconti.
Queste prerogative i vari casati stranieri radicati in Sicilia, nei loro interessi prima di quelli del regno, non potevano assecondarle.
I loro feudi, i loro antichi privilegi e affari venivano in tal modo minati e compromessi dai disegni del vecchio re, presi in consegna dal signore di Catania Artale Alagona.
Palermo dei Chiaramonte aveva navi e soldati a sufficienza per far guerra a qualsiasi altra città di costa filo-Angioina e filo-aragonese, eppure la guerra era in primis strategie e congiure. Un re un giorno ci sarebbe stato e se le manovre dei vicari e affiliati, come accadde, si fossero rivelare ostili giusto al suo incoronamento, i casati avrebbero perduto tutto nella legge del 1300, per tal ragione, la vicenda divenne spinosa e molto lunga.
I -Baroni- tramavano, come i boss mafiosi. I rappresentanti delle fazioni si riunivano nei Castelli ed ivi, in segreto, programmano strategie politiche e militari, punivano le spie, disponevano le quote necessarie a cassare le imprese che avrebbero richiesto anche a loro, ricchissimi conti, sacrifici e dure perdite se non la stessa vita.
Quando sembra a tutti chiaro che il gran Giustiziere Conte Artale Alagona e figli, tra cui un Blasco come il nonno, sono gli unici nemici rimasti alle nobili famiglie ed al regno stesso, intenzionati a prolungare il regio incarico assunto dal casato ad oltranza, non consegnando la principessa al duca di Milano, ecco presentarsi una terza forza interessata al governo della Sicilia, la più grande e secreta, perché suggellata dall'alleanza tra il re Alfonso Pietro IV d'Aragona di Valencia, Maiorca, Sardegna e Corsica, padre del giovane duca Martino I e Bonifacio IX. Il Papa seguì la trattativa segreta caldeggiandola, diversamente dal predecessore Urbano VI, che invece osteggiò il contratto matrimoniale perché a vario grado ritenuto consanguineo. Quando i -Baroni- si convincono a pugnare con chicchessia, forti d'aver compreso nelle -riunioni di famiglia- quale obbiettivo distruggere, ossia il Signore di Catania conte Alagona di sangue catalano, ecco che a fare scacco matto al gioco degli inganni, intervenire il Conte Guielmo Raimundo Esfonellar Moncada.Il giornalista, scrittore e studioso di araldica P.Francesco Mistretta, annoterebbe che il casato di appartenenza al Signore di Augusta, Centuripe, Paternò e Nicolosi, ereditava in Sicilia beni e feudi dalla famiglia Sclafani, rimasta senza linea di successione.
Sarà il conte Guglielmo Moncada con un piccolo esercito e buona strategia a forzare gli sbarramenti del castello a mare Ursino e liberare la giovanissima principessa. Poiché chiunque -possieda- in tutela (carceraria) Maria di Sicilia potrebbe, facendola sposare ad un duca o ad un principe di proprio piacimento (dovendo per le leggi del 300 questi re consorte) farla ingravidare dallo sposo, potendo così Maria con violenza generare un erede maschio, poter entrare nel -gioco della caccia alla principessa- per provare a cambiare profondamente il futuro del regno di Sicilia e di alcune famiglie nobili, diviene un affare per molti. Il conte Moncada liberata dalle grinfie del conte Alagona, porterà la principessa Maria nei propri tenimenti, spostandola nei castelli a mare che ritiene più sicuri e strategici. I rinforzi del re d'Aragona sa bene che giungeranno dal mare e verso quale costa dell'isola punteranno.
Saranno giorni di attesa e vergognosi per i casati e le popolazioni che vivrano le follie dei loro conti feudatari catalani o latini assecondandone i programmi.
Che dire delle genti di Catania di Licata e di Augusta che accettano che la -destinata regina- dal re defunto, fosse ostaggio dei loro Signori? Ma come avrebbero potuto tutti loro fare altrimenti nel 300? Poco dopo la liberazione-rapimento di Maria, considerato che navi ed eserciti non erano invisibili, il  conte Alagona con soldatesche agguerrite di Catanesi-Catalani armato sino ai denti, si precipita sotto le roccaforti dove rifugiava il conte Guglielmo Moncada. Vivranno il castum cum borgo di Licata prima e quello di Augusta dopo, scene emblematiche di questa assurda vicenda. In questi ultimi baluardi, pressato dal Gran Giustiziere primo vicario, il conte Moncada si rifugia con il suo giovanissimo ostaggio reale, inviando dispacci di aiuto al re d'Aragona Alfonso Pietro in Aragona e al papa a Roma.
Saranno i soldati giunti con i legni Aragonesi ad Augusta per prendere in consegna la principessa Maria, che libereranno il Conte Moncada da una morte annunciata. Fuggirà attraverso i soliti condotti sotterranei dei castelli siciliani, che in questo caso portano a spiagge lontane Maria e pure il cavalier Guielmo, quella volta vivo per miracolo.
Sarà la principessa Maria rimasta orfana di madre alla nascita e di padre poco più che bambina, portata via mare con viaggi durati settimane di navigazione a vela, prima in Sardegna e poi a Barcellona, ove il re, padre del suo promesso sposo, il duca Martino I l'attenderà per apporre la firma sul contratto matrimoniale.
Il passaggio obbligato di Maria in Sardegna, prima di giungere alla corte aragonese innanzi al re, consegnata ad una carceriera zia, avrà il compito di persuadere la principessa a sposare un giovane parente duca d'Aragona.
Maria rifiuterà e fin quando non avrà accettato, resterà prigioniera in un luogo segreto nel bel mezzo del nulla, pensando al Regno che la reclama come regina prima che come donna.
In Sicilia intanto è ferro e fuoco. Ognuno dei 4 vicari nella propria contea trama battaglia, si allea o scioglie amicizie relative a questo potente casato oppure a quell'altro. Il più temuto fra i 4 vicari è Manfredi III Chiaramonte. La sua contea si estende da mare a mare longitudinalmente da Pozzallo ad Alcamo.
Castello Conti di Modica Alcamo, Svevo-normanno castddu nuvu. Palacium, prigione, palazzo di governo dell'urbe medievale. La sua grandezza non permetteva che l'avvistamento in mare e protezione degli abitanti. Le sue ridotte dimensioni non permettevano in caso di attacchi saraceni che la popolazione vi si rifugiasse all'interno, piuttosto che questa in caso di sommossa non potesse in alcun modo mettere a repentaglio la vita dei feudatari.
Sul monte Bonifacio di questa ultima città, proprio in cima ove il comune in tempi moderni ha posizionato le antenne, ( giusto distruggendo il sito medievale) feudatario in questo tratto di tempo Francesco II Rosso Ventimiglia Lauria, è signore del borgo e del  Castrum a forma quadrangolare. L'edificio è di tipica foggia militare svevo-aragonese. Classicato dagli storici imponente e dotato di ambienti per il signore, la servitù e numerosi soldati. Provvisto di stalle per cavalli e bestie da carne e latte, di chiesetta e cappella privata, di ampia corte interna con mura di protezione altissime. Rinforzato militarmente con un titanico mastio a base quadra, alto circa 3omt, reso impermeabile ad ogni attacco, da mura in blocchi di pietra marmorea incastrati, dello spessore di oltre 2 mt. Prodigio militare e specchio del fine 300 siciliano, il mastio del Rosso Ventimiglia, ha quattro livelli ed è provvisto di grande cisterna.
Per intenderci è più largo e più alto della Torre Pisana del Castello di Lombardia di Enna, notoramente tra i castelli meglio difendibili e più grandi d'Italia. I tre restanti livelli vissuti da soldati nei vari ranghi sino al serventes, sono provvisti di finestre e di ottimo riscaldamento generato da camini di dimensioni generose. Il castrum del Bonifacio di Alcamo, circoscritto da quattro alte torri a base quadra (nella sua ultima foggia documentata in epoca successiva al 300) fu attribuito in quel tempo al Ventimiglia non bellicoso. Un super-partes alle congreghe delle famiglie in gioco per la gestione della principessa Maria. Per le sue scelte Francesco II Rosso Ventimiglia Lauria, avrà scontri persino con il fratello Giovanni I, che invece affiancherà sin dal principio la guerra agli Aragonesi alleati ai lombardi fatta dal padre.
La famiglia ripudiò per averla ricevuta cum lauta dote ma fedigrafa, donna Costanza Chiaramonte e questo provocò ai Rosso Ventimiglia Lauria, inevitabili scontri con il potentissimo casato della nobildonna, pagati con oro, soldati e sangue.
Furono privati i Rosso Ventimiglia Lauria della Contea di Geraci signori di Taormina e molti altri tenimenti dei loro feudi cum Castrum dagli Angioni, per esser stati dichiarati felloni. Li ebbero indietro con gli onori e le aggiunte di privilegi e nuovi territori, con i reali aragonesi negli anni successivi, contrariamente ai chiaramontani che persero tutto.
Furono i Ventimiglia filo-svevi in virtù delle radici Altavilla che con Costanza si unirono agli Hohenstaufen, e nelle ultime battute alla guerra filo-Aragonesi per rimanere a galla.
ll maniero di Federico II Rosso Ventimiglia Lauria costruito sul Bonifacio, verrà giusto in questa storia dei Quattro Vicari di Federico IV, distrutto dal re consorte Martino I.
A matrimonio fatto, per come la sorte volle, facendo sì che prevalessero gli intrighi aragonesi-pontifici, gli appartenenti ai casati dei vicari dichiarati felloni, (Martino sarà incoronato Re di Sicilia a pieni poteri anni dopo l'unione con Maria) furono privati dei loro feudi, esiliati, carcerati o uccisi.
I loro castelli, quelli che in sostanza inscenarono la storia del 300 siciliano, nelle sale degli intrighi e nelle resistenze coi soldati e cannoni, quelli come l'Ursino, il Lombardia, il castello di Aidone, di Aci, Augusta, Castronovo, quelli come il Ventimiglia del Bonifato d'Alcamo, furono in buona parte distrutti quella volta dal regio esercito, per poi essere nuovamente assegnati come Castrum demaniali, dai re che si successero agli stessi titolari o ad altri Casati venuti dopo.
Quando tutti o quasi gli uomini e le donne in Sicilia si rendono autori di pensieri e gesti barbari o criminali, dopo anni senza più metro, vittime del mortale gioco di potere, Maria a dispetto della corrente storica cresce e si illumina sempre di più..
Trascorsi gli anni di prigionia in Sardegna, la principessa diviene una fanciulla forte e coraggiosa. Ne ha viste tante. Maria non vorrebbe sposarsi ma accetta il compromesso assurdo in extremis, quando viene a sapere che il duca promesso sposo è un catalano, un cugino di secondo o terzo grado o qualcosa di simile.
Maria ha pianto la morte del padre re, dentro castelli sconosciuti serrati all'interno e lugubri, nelle rocambolesche fughe ha visto il sangue delle sue guardie e custodi morti e feriti versato in terra. La principessa d'Aragona a corso da bambina lunghi ed insidiosi corridoi sotterranei, tante volte, rischiando ogni volta di ferirsi o di perdere la vita. È stanca. Il suo principio di regina non può vederla esiliata, Maria in quel parente si convincerà che alberghi vede dopo anni di tenebre la luce.
Che il papa Bonifacio IX sia il manovratore del contratto matrimoniale a lei è noto, come altrettanto le è abbastanza chiaro, che dietro al salvataggio dell'ursino e della prigione sarda, ci sia il parente re Alfonso Pietro d'Aragona.
Le celle del Castello. 2x2 finestra 30x50 esposto al sole per tutto il giorno per metà nella roccia scavato per la restante parte. La cella in estate arrivava a temperature da forno. Molti carcerati di fracassavano il cranio per non soffrire le pene. Pochi nelle pene brevi scontate in mesi primaverili o autunnali, raccontarono atroci patimenti. Come allo Steri e meno conosciuti i graffiti presenti suoi muri.
Malgrado la storia non lo dica chiaramente, a noi piace credere che la sfortunata principessa Maria d'Aragona sposerà il duca Martino I, perché giunta nella dimensione massima, quella di donna, che ha tanto sofferto, sentirà Maria la necessità di reagire capovolgendo del tutto le strategie, vendicando il padre e così indirettamente anche sé stessa ed il regno di Sicilia.
Sebbene in un primo momento il papa Urbano VI non accetterà le nozze tra due consanguinei aragonesi, irremovibile come fosse una missione, Maria figlia di Federico IV, perseverando negli anni riuscirà a -contrattare- con il papa successore, la sua formula di regno cattolico fervente la spunterà sugli indugi.
Così benedetta dal pontefice Maria torna finalmente in Sicilia regina acclamata dal suo popolo e dalla chiesa, protetta da un grande esercito e da un marito re consorte.
Quest'ultimo avrà per quasi un decennio una sola missione: confiscare, stanare, piegare e fare a pezzi tutte quelle famiglie nobili di Sicilia, che non solo fecero il -mafioso- patto di Castronovo, piuttosto quanti traditori fedeli al re Federico IV, tramarono perché Maria andasse sposa al Visconte di Milano, quanti perché vivesse per sempre come prigioniera, quanti persino la vollero morta o sposa a filo-svevoChiaramontani che l'avrebbero spogliata dei suoi poteri e rinchiusa in un castello in attesa della morte  per suicidio.
Nelle impegnative e costose cacce ai traditori della corona aragonese, finì anche il primo vicario, l'unico uomo di cui Federico IV si fidò, a torto, tanto da renderlo tutore della principessa e del regno sino ad avvenute nozze col Lombardo Visconte.
Contro il Conte Alagona re Martino I schierò un esercito veicolato da terra e con le navi aragonesi, ed il vicario nonostante fosse signore della grande città marinara di Catania e reggente del Castello a mare Ursino, vedendosi per tempo assediato fuggì verso Genova. Ogni borgo ed ogni città siciliana del 300, ha una parte in questo real-film medievale.
I nobili casati forgiavano la ragione di contea, qualcosa che andava oltre la ragione di stato. I cittadini dovevano dare seguito alle idee politiche dei loro feudatari, pena la morte.
Sarà per quella dei Rosso Ventimiglia Lauria assai tragicamente condizionato il popolo di Aidone, per la ragione dei chiaramontani a Castrogiovanni, le genti insorsero e distrussero la cittadella tanto da uccidere il castellano fedele a Federico IV.
Con inganno alcune famiglie ennesi congiurate, schierate col conte Alagona, colui che per anni sembrò apparentemente esser il più forte nella diaspora tra nobili, aprirono le porte della inespugnabile ai cavalieri catalano-catanesi del figlio di Blasco Alagona, e questi, una volta dentro rubarono, saccheggiarono e violentarono le donne.
I montanari ennesi chiaramontani, di fazione latina, come videro le scene fecero suonare le campane di tutte le chiese e accorsero uomini pure dalle masserie. Unito e pronto con asce e martelli, zappe ed ogni legno e ferro utile al guasto, il popolo strinse i soldati catalani di Artale accerchiandoli e posto uno ad uno li trucidarono. Quella volta i felloni di Enna che per come andavano le cose erano filo-aragonesi fuggissero e che solo il gran Giustiziere del regno di Sicilia, Conte Alagona, fosse rilasciato. Ogni casato possedeva tenimenti in molteplici terre ed ognuna di queste a proposito dei quattro vicari del re avrebbero una vicenda a limite della fantasia da narrare.
Ecco che la storia cantata dai cronisti degli uomini potenti del tempo, diviene nel concreto: la storia delle donne.
Sarà Maria anche in sua assenza il centro di tutto il regno di Sicilia e malgrado la società del 300 siciliano non ritenesse una principessa legittima erede in linea di successione, pur con legge variante approntata dal re padre in punto di morte, Maria da quel passo indietro che fu il matrimonio con Martino I, ne farà dieci avanti mettendo a segno la rivalsa con la vendetta e operandosi cosi al ripristino della pace nel regno. Regina matura Maria di Sicilia saprà come farlo funzionare il governo di Sicilia, anche facendo finta che siano gli uomini. Morirà poco dopo aver dato alla luce un figlio maschio, lasciando il regno di Sicilia nelle sole mani del re Martino I detto il giovane.
Partorita a Catania ove un tempo regnava il potente conte Alagona, nel Castel Ursino che il gran Giustiziere catalano ebbe in privilegio dal re e che tenne anche disattendendo al suo giuramento, morirà la regina Maria a Lentini, sì che nascita e morte avessero medesimamente territorio catanese. Previa imbalsamazione plausibilmente in loco o strette vicinanze, operata dai medesimi frati dell'Ordine minimo che si occuparono delle spoglie di re Federico II d'Aragona e della regina sua consorte, nei primi del 300, la regina Maria d'Aragona, sarà trasferita presso la Cattedrale di Catania nel tempio in cui il popolo venera da sempre la Patrona martire S.Agata. Composta con gli abiti regali la corona e tutti gli stemmi dell’antico casato reale aragonese, la regina fu posta entro un mirabile sarcofago in pietra sculta, per ironia della sorte a lei sempre ostile, poco distante  del re di Sicilia Federico II d'Aragona che giusto a lei con il provvedimento di divieto di successione alle donne, rese tutta la vita un inferno.
Note storico-turistiche
Le due stupende cattedrali di Palermo e di Catania, sono i templi massimi di città e scrigni simbolici scelti dai casati reali più grandi e fondanti la storia medievale di Sicilia.
Gli svevi Altavilla a Palermo come gli Aragonesi-catalani a Catania. Non essendo di stirpe imperiale non avranno i porfidi egizi i re e le regine aragonesi.
Un sarcofago che ritrae nel riposo eterno con un cuscino la regina Costanza d'Aragona, un'altro conterrà i resti degli altri componenti reali di quel regno, un sarcofago risalente al III sec d.C, accoglierà a partire da Federico II d'Aragona quasi tutti gli altri del casato reale di Sicilia nei secoli succeduti.
Nella prima sepoltura, un sarcofago nella cappella della Martire, ai piedi dell'altare, conterrà i resti di Maria di Sicilia. I suoi resti saranno dopo secoli traslativi nel sarcofago di Federico III.
Entro il sarcofago in cui riposano le ossa di Federico III d’Aragona, furono posti i resti mortali del figlio Giovanni, del nipote Ludovico, della pronipote Maria di Sicilia, vittima delle angherie dei 4 vicari, dell'infante Federico  figlio di Maria di Sicilia,  morto a meno di due anni.         
 
Letture Curiose e Divagazioni Storiche
Post inserito il 4 marzo 2023
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