L'ultima moneta coniata ad Enna
L'ultima moneta coniata ad Enna
anno 829
L’ultima coniazione di monete ad Enna, avvenne dopo che fu dichiarata Municipio, intorno al 36 a.C. Essa comprende una serie di quattro monete di cui una rappresentata nel calco a lato.
Nelle foto a destra,
sopra la testa di Cerere, velata e coronata di spighe, davanti al collo una fiaccola accesa, e le iscrizioni: M.Cestio - L. Munatius.
Sotto la quadriga in corsa, guidata da Plutone, che cinge col braccio Proserpina, da lui rapita, nella mano destra lo scettro, e l’iscrizione Mun.Hennae (Municipio Enna).
La moneta aveva corso legale in tutta la Repubblica di Roma, ed il valore di un Asse. I nomi dei duumviri Cestio e Munato riportano all’ultimo trentennio del I sec. a.C.
Tuttavia sembra esserci ancora un'ultima moneta
coniata a Enna negli anni 829-830,
durante il primo assedio arabo a Castrogiovanni:
il DIRHEM d'argento
Nel giugno dell’827 un corpo di spedizione sotto il comando di Asedibn-Forat sbarcò a Marsala, e , dopo una vittoriosa battaglia, si spinse ad assediare Siracusa. Il comandante morì, vittima di una epidemia. Suo successore, Mohammad ibn-al-Gawari, si ritirò per assediare Enna. Durante questo assedio Eufemio ( il tumarca bizantino che autoproclamatosi Imperatore aveva richiesto aiuto provocando l’invasione araba) fu assassinato, ma morì anche al-Gawari, ed in seguito gli Arabi, battuti dall’esercito bizantino, si ritirarono nella loro base di Mazzara.
L’Amari ritiene che durante l’ assedio di Castrogiovanni, 829-830, fu coniato nel campo una moneta d’argento il "Dirhem", conosciuto in un solo esemplare, (unico Dirhem intero di tutta la monetazione arabo-sicula), la prima ( o fra le prime) moneta battuta dagli arabi in Sicilia. (1)
Dirhem = SiqilliYah = 214 Egira (anno 829-830)
Diametro 24 mm,- gr. 2.90
Fronte:
in campo leggenda cufica in quattro righe,
in basso un globetto
Non v’è divinità se non
Mohammad
Dio unico
Figlio di Gawari
(Mohammad Al Gawari è il nome del capitano delle milizie che assediavano Castrogiovanni)
Leggenda marginale:
In nome di dio fu coniato questo Dirhem in Siqilliyah l’anno 214
Retro:
in campo leggenda di cinque righe:
Ghalaba
Maometto inviato
Di Dio per ordine dell’Emiro
ZiYadat-Allah figlio di Ibraim
Ziyadat-Allah
Leggenda marginale:
Maometto inviato da dio, lo ha mandato con la buona direzione e colla religione della verità, per farla prevalere sopra tutte le religioni, ancorchè piaccia ai politeisti.
Michele Amari ci racconta il primo assedio di Castrogiovanni e di come fu ucciso dagli ennesi, presso Papardura, il traditore Eufemio che aveva invitato gli Arabi a conquistare la Sicilia:
Lasciato presidio a Mineo, si spinsero nel cuor dell'isola, sotto le formidabili rupi di Castrogiovanni. Eufemio trovò a Castrogiovanni la morte ch' ei forse bramava. Appiccata una pratica con terrazzani o soldati, vi fu chi venne seco ad abboccamento; finse volerne consultare in città; andovvi e tornò ad Eufemio un' altra fiata nello stesso dì: e la conchiusione fu che i cittadini si disponevano a fare ogni voler suo e dei Musulmani; sarebbe disdetto il nome di Michele il Balbo, giurata fede a lui la dimane, a tal ora, a tal luogo, a distanza onesta tra le mura e il campo. La notte v'ascosero lor armi. Al nuovo dì, in vestimenta di gala, servilmente lieti, comparvero al ritrovo; e venne dall' altra parte Eufemio con picciola scorta e lasciolla anco addietro un trar d'arco. I cittadini si prostravano dinanzi al posticcio imperatore, in atto di adorazione, come si usava allora, né è smessa per anco tal vergogna. Ma due fratelli, che par fossero stati amici d' Eufemio innanzi la guerra, si spiccano dal branco degli adoratori; corrono bramosi ad abbracciarlo: il misero, disusato da lungo tempo alle espansioni dell'affetto, si commosse, si chinò a baciare l'un dei fratelli; il quale amorosamente gli prende il capo con ambo le mani, l'afferra pei capelli, lo tiene con disperato sforzo, e l'altro fratello gli vibra un colpo su la nuca e il fa cascar morto.
Allor la brigata die di piglio alle armi occultate: impuni e tripudiatiti i due traditori riportarono in città il capo d'Eufemio: e forse furono paragonati alla Giuditta, chiamati liberatori della patria, sì come poi la cronaca di Costantino Porfirogenito li disse vendicatori dell' onore imperiale contro un usurpatore. Questa fine ebbe il prode condottiero siciliano, strascinato dai vizii del governo e del paese a ribellarsi dall'uno, e dar l'altro in preda agli stranieri.
Ostinandosi con tutto ciò i Musulmani all'assedio, andava a rinforzare la città Teodoto patrizio, testé giunto di Costantinopoli con soldatesche di varie genti, la più parte Alemanni, come porta il manoscritto del Nowairi, ma probabilmente si dee leggere Armeni. Sta Castrogiovanni in un piano scabro e inclinato che tronca la vetta d'alto monte, di costa scoscesa da ogni lato, ripida e superba da settentrione molto più che da mezzogiorno: le case sono sparse a gruppi or alto or basso, come ondeggia il suolo del rispianato; ove spiccasi in alto, verso greco, una immane rupe, stagliata intorno intorno, coronata di grosse mura e torrioni, provveduta di scaturigini d'acque, capace di grosso presidio: cittadella che può dirsi inespugnabile, perch'è stata presa rarissime volte.
Su la rupe sorgea nell'antichità il tempio di Cerere, quasi la Dea da quella cima vegliasse sopra l'isola sua: e quivi i Bizantini avean posto ogni speranza di difesa, afforzando il formidabil sito con gli ingegni di lor architettura militare; e il borgo che stendeasi nel rispianato, ov'è in oggi la città, potea sfidare anch' esso gli insulti nemici. Era il nemico attendato alle falde del monte, credo da mezzodì ov'è una pianura; ciò che Ib- el-Athir fa supporre, scrivendo, come i due eserciti si ordinassero in fila, l'uno a fronte dell'altro. Perocché Teodoto, solo capitano degno del nome che ebbero i Bizantini in questa guerra, fidandosi in sè e nel numero de' suoi, scese giù dal monte a presentar la battaglia. E toccò una sanguinosa sconfitta; sì che s'ebbe a rifuggire a Castrogiovanni, lasciando al nemico moltissimi prigioni, tra i quali si noveravano novanta patrizii, dicono le croniche musulmane, forse giovani di famiglie patrizie, e anco di nobiltà minore: ma pur ciò basta a mostrare la importanza dell'esercito bizantino.
Indi l'assedio continuò; nel qual tempo tanto ordinatamente reggeansi i Musulmani,che dell'argento preso batteron moneta. Se ne conosce non saprei dir se due esemplari, o un solo; trovandosene uno pubblicato dal Tychsen, ed uno posseduto dal Museo Numismatico di Parigi, che ben potrebbe essere il medesimo. È moneta sottile, non logora, coniata a lettere cufiche dello stesso stile dei dirhem abbassidi contemporanei; pesa due grammi e novanta centesimi; vale perciò da sessanta centesimi di lira italiana.
"In nome di Dio questo dirhem fu battuto in Sicilia l'anno dugento quattordici." E si deve intendere dei principii di quell'anno, ossia della primavera dell'ottocento ventinove; nel qual tempo gli Arabi assediavano Castrogiovanni, e mancò di vita Mohammed-ibn-el-Gewàri.
Dopo la cui morte, rifatto capitano, per elezione dell'esercito, un Zoheir-ibn-Ghauth, l'avvantaggio della guerra tornò ai Bizantini. Perchè, uscita a far preda, com'era usanza, una gualdana degli Arabi, Teodoto le mandò incontro genti che la combatterono e rupperla; e la dimane, venuti a giusta giornata ambo gli eserciti, Teodoto riportò anco la vittoria; ammazzò da mille uomini ai Musulmani, e li cacciò infino agli alloggiamenti; dove si munirono con fossati, e furono a lor volta assediati e chiusa loro ogni uscita. Apprestatisi pertanto all' estremo rimedio di tentare una sortita di notte sopra il campo bizantino, Teodoto, che lo riseppe, lasciò vóto il luogo; si appostò nei dintorni; e quando i Musulmani aveano occupato il campo, maravigliati del non trovarvi anima viva, il nemico piombò improvvisamente da tutti i lati, ne fece strage: li sbaragliati a mala pena si ritrassero a Mineo. Inseguendoli Teodoto, li assediò nella fortezza; e alfine li condusse a tale disfatta di vittuaglie, che doveano cibarsi de'giumenti e de' cani. A questi avvisi il picciol presidio di Girgenti distruggea la città, leggiam nelle cronache, forse le sole fortificazioni; e non potendo soccorrere que' di Mineo, si ridusse a Mazara. Aumentato 1' esercito bizantino, e rincorato da un capitano di vaglia; avvezzi un po' gli abitatori dell' isola al romore delle armi, innaspriti dalle profanazioni, saccheggi e guasti degli Infedeli; e costoro menomati tra vittorie e sconfitte, non fidanti nel nuovo condottiero, mancato lor anco Eufemio, dileguati già prima i suoi partigiani: tali erano le condizioni degli uomini che si laceravan tra loro sul desolato terreno della Sicilia. Non rimaneva agli occupatori altro che Mazara e Mineo, disgiunte di tutta la lunghezza dell'isola, da sentieri difficili e popolazione ostile; e l'una tenea per non essere stata assalita giammai; l'altra, rócca fortissima, era per soggiacere alla fame. Parea dunque assai vicino il termine della guerra nella state dell'ottocento ventinove, due anni dopo lo sbarco di Ased a Mazara. (2)
1) Rodolfo Spahr, Le monete siciliane dai Bizantini a Carlo I d'Angiò (582-1282), 1976, pubblicazione della Associazione Internazionale dei numismatici Professionisti.
2) Michele Amari, Storia dei Mussulmani di Sicilia, 1854