Briciola
Briciola
di Elena Pirrera
Sto vagando ormai da due giorni: sono sfinito e i morsi della fame si fanno sempre più forti.
Non posso fermarmi, devo tornare a casa ma non so dov’è la mia casa, non riesco a capire dove sono. Mi rendo conto di essermi smarrito e la paura cresce.
Ho paura di questo buio rischiarato dai fari di automobili che sfrecciano come saette, ho paura di questa strada che sembra non aver fine.
Devo fermarmi, ho bisogno di riprendere fiato e così trovo riparo sotto un albero.
Ho le zampe sanguinanti e cerco di alleviare il dolore leccando le ferite. Poi, adagio il muso sul terreno umido e chiudo gli occhi.
E rivedo la scena in cui, ancora cucciolo, me ne stavo accovacciato, anche in quel caso, sotto un albero. Ma era un albero diverso: era tutto sfavillante di luci che brillavano come stelle e adorno di fili d’oro e d’argento. Era un albero di Natale.
Avevo un ridicolo fiocco rosso legato attorno al collo e stavo in mezzo a tanti pacchetti, anch’essi in confezione regalo.
Luca si buttò a capofitto su di me. "E’ bellissimo! Grazie papà!" disse, "Lo chiamerò Briciola!".
"Su!" rispose suo padre, "Adesso scarta gli altri regali".
Mi trovai bene in quella casa.
Luca giocava con me e la sera, di nascosto dei suoi, lasciava che mi addormentassi sul suo letto. La mia ciotola era sempre colma di cibo e un morbido cuscino attendeva i miei riposini giornalieri.
A volte, la mamma di Luca mi rimproverava aspramente accusandomi di riempire di peli i suoi tappeti e allora io mi rintanavo sotto il divano, un po’ offeso e un po’ spaventato, e aspettavo quieto che l’atmosfera si rasserenasse.
In compenso, Luca mi portava a spasso, mi spazzolava tutti i giorni e, soprattutto, cosa che mi piaceva molto, mi riempiva di carezze.
Sarei rimasto ore, sdraiato a pancia in su, a godermi le fantastiche grattatine che soleva darmi il mio piccolo amico.
Suo padre pensava invece alla mia igiene: comprava bagnoschiuma per cani e polveri di ogni tipo.
"Dobbiamo stare attenti alle pulci!" diceva.
Venne l’estate e avvertii una sorta di agitazione nella nostra casa.
I miei amici stavano organizzando le vacanze ormai prossime. Luca era euforico; sua madre aveva messo in bella mostra una sfilza di costumi da bagno e parei coloratissimi, mentre il marito sistemava con cura le sue canne da pesca.
Io ero eccitatissimo: non avevo mai visto il mare!
Finalmente arrivò il giorno della partenza: mi sistemai nel vano bagagli di una stupenda station wagon rossa fiammante, accanto ad un ombrellone e ad un paio di pinne.
Luca era silenzioso.
"E’ meglio così..." diceva suo padre, "Avremmo dovuto rinunciare al viaggio... vedrai, sarà in grado di cavarsela... e poi, non dicevi di volere il motorino? Lo avrai, te lo prometto...".
Eravamo in macchina da più di un’ora ed io cominciavo ad avvertire la necessità di una sosta per un impellente bisognino.
Il padre di Luca sembrò leggermi nel pensiero: "Dai Briciola, si scende..." disse fermando l’auto.
Saltai giù e mi diressi verso un invitante cespuglio. Ebbi giusto il tempo di far pipì quando mi accorsi che la mia macchina era ripartita.
Mi misi a correre abbaiando furiosamente. Corsi fino allo sfinimento, fino a quando l’auto diventò un puntino e poi scomparve all’orizzonte.
Ero sgomento, turbato e incredulo, oltre che spossato dal faticoso e inutile inseguimento.
E così, da quell’istante, in preda ad uno sconforto che si è acuito col passare delle ore, ho percorso non so più quanta strada in cerca di un punto di riferimento, di un particolare a me noto, di una luce che illuminasse il buio in cui sono piombato.
Ora ho tanta fame e sete e vorrei che tutto questo fosse un incubo. Ma non sto sognando, non riesco neppure a dormire. E, mentre albeggia, io tremo di paura.
Devo rimettermi in cammino, forse Luca mi sta cercando, forse alla fine di questa lunga strada troverò la mia casa.
Devo farcela, nonostante la stanchezza e la fame, nonostante le ferite alle zampe sempre più profonde. Devo farcela, nonostante la speranza si riduca attimo dopo attimo.
Le automobili passano veloci quando vedo, all’improvviso, delinearsi la sagoma di una station wagon di colore rosso.
"E’ Luca, è Luca!" penso.
E corro all’impazzata sul manto di bitume rovente, vado incontro alla salvezza e guaisco di gioia.
Ma l’auto non si ferma. Odo un rumore assordante.
"E’ strano" penso, "Non ho più fame e non sono più stanco...".
così, continuo a correre su quell’asfalto che, come per magia, si è trasformato in un grande prato verde...