I Fatti di centuripe
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I FATTI DI CENTURIPE
GUARDIE ROSSE
O BRIGANTI
Storia di un fatto accaduto e documentato nel 1944
di Pino Vicari
Pino Vicari nel suo libro "I Fatti di Centuripe, guardie rosse o briganti" da persona informata sui fatti ci racconta con dovizia di documentazione la storia di un gruppo di giovani la cui azione di contrasto alla fame e alla miseria fu fraintesa e vennero giudicati come Briganti.
Dalla prefazione di Andrea Luigi Mazzola:
"La storia che l’autore ci racconta è la storia di alcuni uomini, di un piccolo paese dell’entroterra siciliano, e di alcuni “piccoli” episodi storici che hanno come cornice la tragedia della Seconda Guerra Mondiale e lo sbarco degli angloamericani in Sicilia, le conseguenze di questo sbarco, la miseria, la fame del dopoguerra, l'esperienza comunista in provincia di Enna... le sommosse contadine non implicano soltanto le condizioni storico-sociali ed economiche in cui versavano i braccianti agricoli, ma la personalissima ed irriducibile identità di ogni singolo contadino, le sue prospettive per il futuro, le sue aspirazioni, i suoi intimi dolori e le sue disperazioni quando alla sera tornava a casa e davvero poco c’era sulla tavola ad aspettarlo, così come le imprese “da briganti” delle “guardie rosse”, non possono essere comprese fino in fondo se ci si attiene soltanto (come sembra fare il giornalista Nicolosi, giustamente citato dall'autore) al “fatto bruto” e a implicazioni estrinseche di carattere ideologico...Come l'autore ci mostra, la differenza tra una banda di briganti e un gruppo di bravi e volenterosi “compagni” pronti ad affrontare dei pericoli per contrastare la miseria e la fame trova senso soltanto nelle esperienze individuali dei soggetti storici particolari, soggetti che operano in un contesto storico drammatico, dove la dialettica tra passione politica e tragedia sociale non poteva non generare alcuni dei fenomeni più complessi e contraddittori di tutta la storia della Sicilia. E in questo senso, anche l'episodio più “leggero” che descrive l'improvvisato comizio dell'autore «in difesa della Costituzione» non appare estrinseco rispetto alla storia. Se il problema è comprendere il sottile e intricato nesso che si istituisce tra politica, società ed esperienze individuali (senza affibbiar loro pesanti giudizi morali), si ben comprende come il contrasto tra buon senso e “focosa gioventù” dell'oratore vada inserito in questo contesto polisemico: non si racconta della bravata di un allora giovanissimo Pino Vicari, ma si cerca di render conto, in quella personalissima esperienza, il significato tutto di una passione politica che è vissuta, si è radicata e ha tratto alimento dal complesso contesto storico-sociale della Sicilia del dopoguerra.
La cronaca dei fatti
Un quarto d’ora prima delle sei del mattino del 10 agosto 1944 l’asmatica corriera che faceva servizio tra Centuripe e Catania, appena un chilometro prima di arrivare al paesino si vide intimare l’alt da due uomini male in arnese piazzati in mezzo alla strada. Erano vestiti di cenci. A prima vista sembravano due mendicanti, ma i fucili mitragliatori che imbracciavano non lasciavano alcun dubbio sulle loro intenzioni. L’autista inchiodò il pullman affondando il piede sul freno. I viaggiatori riconobbero subito i due uomini sulla strada: Salvatore Maita, di quarantasei anni, e il trentottenne Giuseppe Gullotta; tutti e due iscritti alla sezione del PCI di Centuripe. Dietro un muricciolo erano in attesa altre quattro persone con le armi in pugno. Alla perentoria richiesta di verificare i bagagli per sequestrare tutte le merci destinate al mercato nero, nella perplessità generale dei viaggiatori qualcuno prese animo e gridò: «Sono comunisti!».
Che le posizioni del Partito comunista fossero inflessibili nei confronti dell’“intrallazzo” era, del resto, una circostanza nota a tutti...poche settimane prima della rapina alla corriera a Centuripe, nella sezione del Partito comunista, era stata appassionatamente dibattuta la questione di come reagire ai traffici illeciti. Alcuni iscritti insistevano per esercitare un ferreo controllo sui generi alimentari sottoposti all’ammasso. Per decidere sul da farsi, il 9 agosto si riunirono nella sezione locale alcuni militanti del PCI centuripino. Tra loro c’erano Giuseppe Bonomo con il figlio Eugenio, Salvatore Maita, Giuseppe Furnari, Giuseppe Dottore, Nicolò Toscano e suo fratello Placido. Quasi tutti i partecipanti all’incontro caldeggiarono il ricorso alla violenza.
In un paesino sperduto tra i monti, marginale rispetto ai grandi traffici di latifondisti e speculatori, non si erano riusciti a trovare avversari più congeniali dei modesti borsaneristi, entrati fatalmente nel mirino della frangia più accesa del PCI locale, che aveva ritenuto necessario un gesto esemplare: bloccare un pullman dove, insieme ai loro carichi illeciti, erano soliti viaggiare gli intrallazisti centuripini.
Nella consapevolezza di trovarsi di fronte a dei loro compaesani, i passeggeri della corriera tennero testa ai banditi. Le reiterate intimazioni di mostrare quanto trasportavano nei bagagli non ottennero altro risultato che suscitare le animate proteste dei viaggiatori, certi di vedersi sequestrare quanto avrebbe loro assicurato un paio di mesi di sopravvivenza. Alla confusione e al coro di generali proteste si aggiunse sopravvivenza. Alla contusione e al coro di generali proteste si aggiunse l’intervento di un carabiniere in borghese che viaggiava sul pullman. Il militare iniziò un aspro alterco con i banditi esigendo, in nome della legge, che si allontanassero immediatamente. L’imprevisto sviluppo della situazione stava minacciando di mandare a vuoto l’azione, e il frastornato nucleo di comunisti perse la testa. Nel tentativo di ottenere obbedienza iniziarono a scaricare in aria raffiche nervose di mitra. Preso dall’eccitazione e dallo smarrimento, uno dei banditi scagliò vicino la corriera una bomba a mano. Le schegge ferirono un passeggero, Vito Picone, che riconobbe nel ventisettenne Onofrio Costanzo l’autore del gesto. La situazione precipitò e l’iniziale determinazione dei viaggiatori scemò di colpo. Spaventati i passeggeri scesero dal pullman, presero i propri bagagli e li deposero a terra. Maita e un suo compagno puntarono le pistole ordinando di lasciare le valigie sul posto, rimettersi sul veicolo e proseguire per Catania. I viaggiatori pregarono di ispezionare, controllare se ci fossero prodotti illegali e restituire i bagagli prima della partenza. Ma in preda al nervosismo Maita urlò di lasciare tutto là e andarsene via. «Non c’è grano, né farina, né altra roba da mangiare; c’è soltanto della biancheria», protestò qualche passeggero, ma i banditi non vollero sentire ragioni.
Tra pianti, lamenti e urla di terrore, la confusione crebbe al punto da diventare incontrollabile. Gli spari e gli scoppi delle bombe a mano avevano attirato due carabinieri che perlustravano la zona. Non appena i militari arrivarono sul posto, i banditi si diedero immediatamente alla fuga. Anche se ,in fin dei conti il gesto non era di particolare gravità, nel timore di essere arrestati i banditi decisero di darsi alla macchia.
(da Cuori rossi contro cuori neri, di Paolo Sidoni e Paolo Zanetov, Newton Compton Editori)
I fatti di Centuripe, l’alluvione del ’50 e lo sciopero alla rovescia
recensione di Giuseppe Nativo
Superare le amarezze, ricercare quella energia vitale intesa come espressione della volontà di resistere alle avversità del quotidiano. Sono questi alcuni dei tratti essenziali che emergono dirompenti nel recente libro, “I fatti di Centuripe. Guardie rosse o briganti. Storia di un fatto accaduto e documentato nel 1944” (tipolitografia “Gutenberg” di Enna, 2014, pp. 94), di Pino Vicari che, con scrittura intensa e gravida di “fatti accaduti e in parte vissuti personalmente”, ci presenta tasselli di vita intessuti in una sorta di tavolozza ricca di colori dalle sfumature diverse.
Classe 1927, figlio di terra ennese, l’autore non è nuovo a esperienze editoriali riguardanti la sua terra. Nato in una famiglia di minatori dello zolfo, il suo animo sincero ma battagliero lo spinge ad occuparsi dei suoi concittadini. Dirigente della Federterra dal 1946 al 1948 è poi segretario del Pci e successivamente segretario provinciale della Cgil. Ha militato sempre nello schieramento della Sinistra Riformista, cattolico convinto, praticante ed impegnato.
L’autore racconta con dovizia di documentazione la storia di alcuni uomini di un piccolo paese dell’entroterra siciliano riportando episodi di micro-storia che hanno come “cornice la tragedia della Seconda Guerra Mondiale e lo sbarco degli angloamericani in Sicilia, le conseguenze di questo sbarco, la miseria, la fame del dopoguerra, l’esperienza comunista in provincia di Enna”, come annota il prefatore Andrea Luigi Mazzola.
Non pochi gli episodi riportati per cercare di comprendere il sottile e intrecciato legame che si istituisce tra politica, società ed esperienze individuali. Un esempio è il “diario” di Onofrio Costanzo che, con la sua profondità d’animo, la sua sgrammaticata e intelligente scrittura, esprime un genuino “amore passionale per la sua donna per la sua terra e per una giustizia sociale che sapeva essere difficile da assaporare in quei tempi”, come scrive Paolo Garofalo nella sua introduzione.
Anche i fatti relativi al cosiddetto “assalto alla corriera” del ’44 a Centuripe ad opera di alcuni giovani “comunisti”, resosi colpevoli di bloccare il flusso di prodotti alimentari che andava ad incrementare il mercato nero a Catania, fatti poi oggetto di “minacce, maltrattamenti”, odissea in carcere e per anni assistiti gratuitamente e con notevole impegno professionale e politico dall’avvocato Casalaina, sono oggetto di analisi per far luce su un’amara vicenda.
Altro tassello è il “primo” sciopero alla rovescia in territorio centuripino. Nei primi mesi del 1950 numerosi paesi della Sicilia centrale, tra questi il Comune di Centuripe, furono colpiti da una grave alluvione subendo l’interruzione delle comunicazioni stradali e telegrafiche. Per poter ripristinare i collegamenti furono chiamati non pochi lavoratori (avviati con i Cantieri scuola) che, dopo avere sgombrato alcune strade principali, furono sospesi. Gli operai, sostenuti dalle organizzazioni sindacali, non solo mostrarono il loro grande disappunto in quanto molte strade erano ancora intransitabili ma continuarono a lavorare proclamando lo “sciopero alla rovescia”. Invece di incrociare le braccia ed astenersi dal lavoro continuarono a lavorare, anche senza la direzione degli uffici comunali, per l’interesse della collettività. A nulla valsero i tentativi delle autorità volti a dissuadere dal loro intento i lavoratori centuripini che continuarono a sgombrare le strade e avanzando pure richiesta di pagamento per il lavoro svolto. Nei confronti delle autorità prefettizie si incardinò una vertenza che si trascinò a lungo senza alcun esito positivo sebbene le autorità comunali ed i vari sodalizi locali fossero dalla parte dei lavoratori. In risposta alla posizione intransigente della Prefettura, un gruppo di lavoratori, guidato da Costanzo Onofrio (molto attivo nel sindacato e nel Partito comunista), si piazzava davanti l’ingresso della Chiesa Madre (in cui Costanzo era stato sacrista) proclamando lo “sciopero della fame”. Tale stato di cose ebbe vasta eco, non solo in campo sindacale e nei partiti di sinistra ma anche nei confronti della stampa nazionale, tanto da costringere la Prefettura a riconoscere il lavoro prestato dagli operai e perciò retribuito.
Quella di Pino Vicari si rivela come una finestra che si apre per fornire al lettore la conoscenza e l’accurata analisi di un lavoro di tutto rispetto e necessario a chi, della storia contemporanea, vuole averne una visione completa e intelligente.