I miei ricordi - Il Campanile Enna

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I miei ricordi

A letteratura du Campanaru > Favole sotto il Campanile di E.Pirrera

I miei ricordi
di Elena Pirrera

Se chiudo gli occhi rivedo, come per magia, la mia casa.

E, come in un film, vedo scorrere delle immagini di particolari a cui non avevo mai dato importanza ma che, adesso, suscitano in me una profonda commozione
Rivedo il vecchio comò della camera da letto, di legno buono ma segnato da crepe che, come rughe, rivelano inclementemente la sua età.
Rivedo l’immagine dell’Immacolata Concezione fissata al bordo dello specchio e il piccolo lume a petrolio che, nonostante sia stato soppiantato ormai da tempo dalla luce elettrica, ha dignitosamente mantenuto il suo posto sul piano di marmo del comò.
Poi, appaiono immagini di oggetti che pensavo di non aver mai notato prima: è strano, ad esempio, come mi torni in mente il servizio di caffè di fine porcellana col bordo di oro zecchino o le tendine della cucina, tutte lavorate a filet, frutto del lavoro certosino della mia povera Annetta.
Cara, cara Annetta, straordinaria compagna della mia vita! La ricordo, sempre indaffarata, alle prese con i fornelli, i piatti da lavare, il bucato da stendere, i bambini da accudire e mille altre faccende, ma sempre accanto a me.
Rivedo Annetta con le sue mani d’oro e i capelli d’argento raccolti sulla nuca in un piccolo chignon e sento ancora il profumo del ragù che cuoceva nel pentolone la domenica.
Che donna meravigliosa la mia Annetta!
Sempre premurosa con tutti, pronta ad ogni genere di sacrificio pur di far felici le persone a lei care.
Ma sei mesi fa, Annetta è andata via, ... per sempre.
La mia Annetta mi ha lasciato.
La mia Annetta non è più accanto a me.
Oggi i miei occhi non hanno più lacrime ma, da quel giorno, incessantemente, lacrima il mio cuore.
"Dobbiamo farci forza, papà" mi ha detto Maria, "La mamma non avrebbe voluto vederci soffrire così".
Maria, la mia cara bambina.
Io continuo a chiamarla così, nonostante abbia già superato i quarantanni.
Ma Maria è sempre la mia bambina, la piccolina di casa, adorata da me, da Annetta e dai due suoi fratelli, Giacomo e Giuseppe.
I miei figli, i pilastri della mia vita.
Ho lavorato sodo per non far mancare loro mai niente e per assicurare ad ognuno un avvenire sereno.
E i miei sacrifici non sono stati vani.
Sono riuscito a far vivere la mia famiglia in maniera dignitosa, ho dato ai miei figli la possibilità di studiare, di costruirsi un futuro e loro mi hanno dato tante soddisfazioni ...
Ah! I miei figli!
Ma ecco che, improvvisamente, non so come, il loro ricordo sfuma e il mio pensiero si sofferma sull’immagine di una piastrella rotta, lì, sopra il lavabo della cucina.
Lo so, sembra un ricordo insignificante, ma quella piastrella è un’altra tessera del mosaico che cerco, a volte, di ricostruire.
E’ una piccola parte della mia vita e mi appartiene e, con avidità, cerco di trattenerla per impedirle di raggiungere l’oblio.
Sono legato ai miei ricordi, mi fanno sentire vivo. Ho l’impressione che mi diano la forza per andare avanti.
Ecco, è proprio su quella piastrella che si soffermò il mio sguardo quella sera, mentre i miei figli, con finta disinvoltura, decantavano le meraviglie di una Casa di Riposo per anziani.
Ricordo che, dopo un po’, le loro parole erano diventate un monotono e fastidioso mormorio, di cui non mi interessava più afferrare il senso.
La mia attenzione era tutta posta, invece, su quella piastrella.
"Dovrò sostituirla" dissi ad alta voce.
E, ad un tratto, i miei figli smisero di parlare.
Avrei voluto che il tempo si fermasse su quell’attimo di silenzio.
Maria teneva gli occhi bassi e non diceva una parola, Giuseppe giocherellava con il portachiavi, Giacomo si avvicinò, mi diede un patetico abbraccio e, senza più giri di parole, mi disse: "Papà, hai bisogno di assistenza, di compagnia, ... non puoi più restare solo ...".
Io mi sentii solo, per la prima volta.
Preparai con cura la valigia dei miei ricordi: portai con me l’odore della mia casa, osservai a lungo ogni cosa per imprimere le immagini nella mia mente, raccolsi meticolosamente le sensazioni e le emozioni legate a quel luogo a me caro.
Maria preparò, invece, la valigia con la biancheria e tutto l’occorrente.
"E’ per il tuo bene, papà" diceva, ormai rilassato, Giuseppe, durante il tragitto dalla mia casa all’Istituto. "Vedrai, ti troverai bene, ... noi verremo a visitarti spesso ...".
No, non posso dire di trovarmi male.
Qui siete tutti molto gentili, mi trattate bene, vi prendete cura di me, la mia stanza è pulita e confortevole.
Tuttavia, non ne abbiatene a male, questo luogo non mi appartiene.
Le mie radici sono rimaste nella mia casa ed io, vecchio albero senza più linfa vitale, sento di appassire un po’ di più ogni giorno che passa.
Dite che ho problemi di memoria, che dimentico le cose ma, secondo me, vi sbagliate.
Io ricordo tutto e di questo ringrazio Dio, la mia mente è ancora efficiente. A volte è solo un po’ stanca e per questo si concede delle pause, ma poi ritorna ad essere agile ...
No, non è vero che dimentico le cose, ho tutti i miei ricordi ancora intatti.
Pensate, non ve l’ho mai detto, ma se chiudo gli occhi riesco, come per magia, a rivedere la mia casa.
Rivedo ogni angolo, ogni particolare: il vecchio comò della camera da letto ... l’immagine dell’Immacolata Concezione fissata sul bordo dello specchio ... e il piccolo lume a petrolio che, nonostante sia stato soppiantato ormai da tempo dalla luce elettrica, ha dignitosamente mantenuto il suo posto sul piano di marmo del comò ...


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