Il Santuario di Papardura- S.Morgana - Il Campanile Enna

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Il Santuario di Papardura- S.Morgana

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La Chiesa del Crocifisso di Papardura

Storia - Leggenda - Folclore
di Salvatore Morgana

(pubblicazione a cura della Deputazione dei Massari della Chiesa del Crocifisso di Papardura)


La grotta-oratorio

Fino al secolo VII gli oratori erano assai diffusi. I coloni, i contadini i braccianti, i pastori che abitavano nei feudi, nelle capanne di paglia e di fango o in quelle di legno amavano riporre e custodire nelle grotte, pulite e ornate di luci e di fiori, i segni della fede e nel pomeriggio di ogni giorno, tutta la popolazione dei contado si riuniva in questi classici oratori, tra le rupi, per innalzare alla Misericordia divina le sue preci e dentro questi rupestri templi, accendevano le lampade rudimentali e le caratteristiche lumiere con l'olio.

Si parla anche di tale Ascanío o Angelo Lo Furco o La Furca che nel 546, di accordo con gli abitanti delle campagne delle contrade Papardura, Rizzuto, Vaneddi ecc. costituì, dentro una grotta, a ridosso della montagna Ennese, con l'apertura a sud-est, un oratorio e sulla parete di fondo della grotta, sulla liscia parete di viva pietra, fece dipingere una scena raffigurante la Crocifissione così come, fino a quel tempo. era stata tramandata dai sacri racconti. I contadini facevano a gara per accendere lumini e per ornare il sito.





Il simbolo della Croce

Il simbolo della Croce è stato onorato come un segno di fede sin da quando i Cristiani si riunivano nelle Catacombe.
Amedeo Maiuri nei suoi scritti ci narra della “Inventio Crucis” avvenuta nel Febbraio 1938, in una casa dissepolta, nella ricorrenza dei bicentenario degli scavi di Ercolano: « Che cosa poteva essere questa stanza priva di ogni altra significativa suppellettile che non fosse quella Croce racchiusa entro un armadio a muro come entro un sacello? E quale altra religione dei primo secolo dell'impero, al tempo della predicazione apostolica di San Paolo, poteva avere, semplice e nudo, come suo sacro emblema, il segno della Croce, e d'una Croce lignea, della Croce insomma della Crocifissione? E che altro poteva essere quella stanza se non un vero e proprio oratorio privato, uno di quegli oratori che sappiamo essere stati i primi focolari accesi della fede cristiana nelle prime comunità dei credenti? »

La nostra discussione aggiunge che un'altra tra le prime figurazioni della Crocifissione la troviamo nella porta della Chiesa di Santa Sabina. La porta è in legno ed ha, ad intagli dalle linee barbariche, scolpite a riquadri, le scene principali della vita di N.S. Gesù Cristo e le sculture sono riferibili agli anni che vanno dal 422 al 432.

Altre scene della Crocifissione e altre figurazioni dei Cristo Crocifisso le abbiamo avute dall'arte bizantina riferibili al V secolo. Tommasi Maria nel volume pubblicato a Venezia nel 1757 dal titolo: Costumi dei primi Cristiani, nel tomo I dice: Soltanto nel VII secolo il Crocifisso apparve con le scene della passione tra le Marie piangenti ».

Nel temi antecedenti, Gesù Crocifisso era raffigurato solo, sulla Croce che si ergeva su un rialzo, Gesù solo, senza alcuna altra figurazione accanto.

E allora? Non si è nel vero allorquando, a proposito dell'oratorio di Papardura si vuole parlare dei Lo Furco, assegnando la data dei 546, poiché ancora non si erano viste le scene dei Crocifisso tra le Marie piangenti, anche perché da sicuri elementi raccolti un po qua, un po' là, abbiamo avuto conferma che la famiglia Lo Furco o La Furca visse a Enna ed ebbe una certa notorietà negli ultimi anni dei sec. VII e nel primi dei sec. VIII.

Se il promotore dei culto rupestre dei Crocifisso di Papardura, visse ed operò nel sec. VII conveniamo che la pittura della scena dei Crocifisso, con le Marie piangenti, dipinta sul fondale della grotta della rupe è dei sec. VII.
Venuto a mancare il promotore La Furca, anche se ai contadini dei tempo succedettero altri, la devozione verso il Crocifisso venne meno perché sbarcati gli Arabi in Sicilia, conquistata Castrogiovanni, emanati i decreti che limitavano il culto cristiano, la grotta venne abbandonata, il suo ingresso fu coperto da sterri e detriti e nel tempo si perdette qualsiasi notizia di quell'oratorio della rupe.

Sì racconta ancora oggi che un religioso che aveva la sua dimora nel convento in località chiamata, ancora oggi, Portella dei Monacì, narrava che sul pendio della rupe di Papardura, spesso, nella notte, vedeva splendere un fioco ed oscillante lumicino.

A proposito dei Convento della località Portella dei Monaci, dobbiamo dire che era abitato dai Monaci di San Basilio, che era una specie di cenobio e che i Monaci lo consideravano come luogo di riposo e di rifugio per i numerosi viandanti, che allora attraversavano l'isola, transitando per la importante trazzera che univa la Sicilia dei sud, alla Sicilia dei centro.





Il nome di Papardura


Il nome della località dà luogo a parecchie interpretazioni.

Il Paolotto Padre Lo Menzo dice - nella su storia inedita -che Papardura deriva dalla forma Papa-adura perché da quella località entrò in città il Papa, dopo di avere adorato il Crocifisso. Ma il Lo  Menzo non è nel vero, poiché mai un Pontefice è venuto in Enna.
Piuttosto è più attendibile quando scrive Vincenzo Littara, storico di Noto, nelle - Historiae Hennensis », facendo derivare la voce Papardura dalle acque che nella località sono abbondanti, dicendo che Papardura significa: località di acque perenni e abbondanti.
Questa interpretazione è la più attendibile poichè in verità, la località Papardura è assai ricca di sorgenti; famosa è l'acqua del Crivello, con il grande bevaio di acque potabili e con il lavatoio costruiti dal Comune per uso e comodità dei cittadini.
Questa spiegazione può trovare un'altra verosimile interpretazione nell'origine persiana della parola «Papar»-dura. Infatti «papar» è la denominazione di acqua sorgente e «dura» che è sinonimo di roccia. Gli Arabi la chiamarono così per indicare la roccia  dell'acqua sorgente.




Il Crocifisso della grotta

Un pio Sacerdote, come narra Paolo Vetri nei volume « Castrogiovanni dagli Svevi all'ultimo dei Borboni di Napoli » edito da Adolfo Pansini, Piazza Armerina, 1886, sognò, una notte, di vedere snodare una processione che, giunta alla Porta di Papardura, si fermava in preghiera dinanzi alla parete rocciosa.  Così pure un'altra donna disse di aver sognato, e nel sonno aveva visto un cieco che aveva riavuto la vista e un muto la favella, proprio a ridosso di quella bianca parete rupestre.

Nel 1659 una monaca, in sogno, sempre nel dire dei Vetri, aveva visto il Crocifisso che a lei aveva chiaramente detto:
«Nella grotta di occidente a metà della rocca di Papardura, che vi si scende per una scala intagliata, là si trova la mia immagine quando fui Crocifisso. Fai accomodare la vecchia lampada che ivi si trova, manifesta a tutti che si faranno me molti miracoli ».

Ciò, come dice il Vetri, fu confermato da un altra donna, tale Angela Lo Guzzo.
La voce circolò e, finalmente, nel 1670, si ebbe la premura di scavare nel luogo che era stato indicato; durante i lavori di scavo fu trovata la grotta con la prodigiosa immagine.
Molti corsero a visitare la grotta e a pregare innanzi al dipinto e la fama miracolosa dei Crocifisso, in breve, si dilatò per le terre dei Regno Sua Maestà.
Nel 1696, crescendo la fede nel Crocifisso, costruì quel gran ponte con il terrapieno e sul piazzale di risulta, si costruì la bella Chiesa, la cui abside è costituita dalla grotta antica e sull'altare maggiore, in un ornato riquadro a intagli dorati vetri, fu incorniciata la pregevole Crocifissione che era dipinta sul muro della Caverna.
Per questi lavori, il popolo, contribuì con slancio e in tutto si spesero cinque mila scudi, pari a 26.000 lire circa, in moneta solida, non inflazionata.




La festa e la fiera            
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La festa fu determinata per il 14 settembre, giorno dedìcato all'Esaltazione della Croce.

In quell'anno fu istituita la celebre fiera-mercato e fu costruito, attorno alla Chiesa un grande loggiato ove i pellegrini trovarono asilo e spesse volte cibo e ristoro e la venerazione verso il Crocifisso, dal tito­lo           di «SS. Crocifisso abbandonato di Papardura» creb­be e si dilatò per le contrade dei Regno di Napoli.
      La festa aveva inizio otto giorni prima e ogni mattina all'aurora si sparavano 600 mortaretti. Due giorni prima della festa avevano luogo le famose corse degli asini, dei  muli e dei cavalli, percorso che andava dalla Chiesa di S. Eligio a quella della Madonna dell'udienza. La vigilia si correva sullo stesso percorso, il palio, consistente in uno stendardo dì seta, con nel centro dipinta l'effige del Crocifisso. Nella tarda s si sparavano i fuochi artificiali sulla collinetta attorno al Castello di Federico. Nell'ora dei Vespri, nel giorno della        festa, aveva  luogo la grande processione della Croce, cui partecipavano tutte le Congreghe e una grande folla con le          torce accese. La processione,          dalla Cappella della
Madonna di Monte Salvo, si recava al Santuario di Papar dura, ove si scioglieva dopo avere ricevuto la benedizione con la reliquia della Santa Croce.
Le vecchie cronache ricordano che nel 1700 era così enorme la folla dei fedeli, convenuta nella Chiesa, che 25 sacerdoti, all'aperto, confessavano i devoti venuti da ogni contrada del Regno.

Per la festa dei 1705 due pescatori, venuti da Mazara dei Vallo, recarono una torcia di cera dei peso di kg. 103. Erano a piedi scalzi e portarono la grande candela, infiocchettata di nastri, in bilico, appesa al giogo dei muratori.

Molti voti erano appesi alle pareti dei tempio. Si usava, allora, di far riprodurre in cera, la parte dei corpo che per la grazia dei Crocifisso era stata guarita, così si vedevano in cera, manufatti da artigiani specialisti chiamati «bamminiddara» tutti gli organi dei corpo umano, usanza che fu poi abolita con un saggio divieto. Ancora oggi si vedono i caratteristici episodi dei miracoli dipinti su tavolette, anche esse ex voto.

Sono delle tavole di vario formato e dimensione ove sono dipinti con un senso assai ingenuo dell'arte pittorica, gli episodi che hanno condotto al miracolo. Su ogni tavoletta è il nome e cognome dei miracolato, la natura dei miracolo e la data in cui si manifestò. Sono belle curiosità che potrebbero interessare tutta una storia di fede, di riconoscenza e di folklore.
Nella terza domenica di maggio, partendo dal  Duomo si svolgeva, fino a Papardura, una grande processione penitenziale per il patrocinio dei Crocefisso sulla città.




Fede di popolo

Nell'anno 1741 si ebbe una disastrosa ìnvasione di cavallette che, comparse nel mese di giugno infestarono i feudi di Geracello, di Geraci, del Piano  del Tordo, Bubudello e Carrangiara. Anche in quella occasione, gli ennesi, ricorsero alla misericordia, del Crocifisso per far cessare il flagello, che si fermò appunto a Carrangiara.
Nello stesso anno, per la festa di settembre cadde la grandine, con chicchi dei peso di sette once spaccarono le tegole e che causarono molto spavento e tanti danni.




In un atto dei Mastro Notaro don Franco Maria Planes si parla anche di una terribile peste che non penetrò in Enna per la grazia dei Crocifisso.

Nello stesso anno, come si leggeva in un atto contenuto in un archivio privato, adesso disperso, stipulato dal notaro Ciraulo, una tremenda carestia funestò la Sicilia. La siccità ne fu l'origine.

Dal Natale dei 1742, al 30 novembre 1743, non si ebbe la pioggia e nemmeno i venti umidi. Le campagne arse dai geli e dal caldo e i popoli assetati soffrirono e languirono amaramente. Seguì un altro crudo inverno con venti e geli e poscia, dopo scarsi raccolti, si ebbero due anni di nera carestia. In quella occasione nel 1746 si svolse una processione penitenziale, così descritta: « Erano tutti a piedi scalzi e sembravano  usciti dalle sepolture, i capelli scarmigliati, la corda al collo, piangevano e pregavano ».

Giunti i penitenti nella Chiesa di Papardura, il parroco di S. Cataldo, cappellano dei Santuario, ebbe parole adatte alla circostanza e annunziò che i procuratori della Chiesa, in omaggio a Gesù Crocifisso, ogni anno, per la festa avrebbero distribuito delle piccole «collorelle» biscottate, benedette, come fecero in quell'istante per onorare il SS. Crocifisso, con la speranza che avrebbe dato raccolto di grano abbondante.       
Le «collorelle», propiziatrici per far finire la care­stia, furono divise a ruba. Quell'anno la terra diede tanta abbondanza di grano che non bastarono i granai, a contenerlo e ne fu anche conservato negli oratori delle Confraternite che erano colmi a disposizione di tutti.  Le «collorelle», sancirono una devozione che d allora viene praticata nella festa dei Crocifisso, corne ringraziamento per la fine della terribile carestia.

Un giorno dell'anno 1699, ad un massaro, che non ho potuto identificare, cadde una vitella da un sentiero in un burrone. Nella caduta, la vitella , ebbe spezzati gli ossi dei collo. Il massaro invocò la grazia dei Crocifisso e volle che il cappellano della Chiesa che era anche parroco di S. Cataldo, venisse nel burrone, sotto la rupe di Papardura, per benedire la giovenca agevolando così il compimento della grazia. Il parroco andò e dopo la benedizione la giovenca da sola, si alzò e riprese la sua strada come se nulla fosse stato. Per la festa, il massaro, donò al Chiesa una vitella per essere cucinata e mangiata dai procuratori e dai pellegrini più poveri, con l'obbligo di inviare al Parroco di S. Cataldo, cappellano della Chiesa di Papardura, la testa e il collo dell'animale sino all'attaccatura con il corpo. Ouesta usanza non fu più trascurata negli anni seguenti.



La Chiesa del Crocifisso

La Chiesa dei Crocifisso dal tetto a cassettoni di legno, è ricca di stucchi di assai discreta fattura, attorno vi sono le statue bianche degli apostoli a grandezza naturale, in gesso. Sui quattro altari minori vi sono i quadri con gli episodi della Passione di Gesù; due di essi sono dalle linee meravigliose; pur non avendo avuto la possibilità di conoscere l'autore, questi due quadri raffiguranti Cristo alla coIonna e Gesù deriso, per le linee, per le fisionomie, per la precisa composizione dei colori, fanno pensare alla mano di un illustre artista.

Sull'altare maggiore è un settecentesco pallio d'argento ove, a rilievo e a bulino, è raffigurato il trionfo dei Crocifisso. Gli altri palli di altare sono in cuoio finemente decorato, con dipinti gli stessi motivi dei quadri degli altari. Interessante è un tosello con reliquiario, con velluti e argento. In sacrestia è un casserizio a intarsi.

La Chiesa è amministrata da una deputazione di Massari che ogni biennio elegge il capo o depositario. La Deputazione ha un preciso diritto di patronato, regolato da un atto speciale di costituzione.

I Massari devono versare un donativo annuale per i bisogni della Chiesa e devono provvedere a raccogliere gli altri mezzi necessari per il mantenimento del Culto al Crocifisso.

Nell'agosto di ogni anno si vedono in giro "redine» di muli, gli animali sono riccamente bardati con antichi finimenti di panno ricamati a colori vivaci, come i tradizionali carretti siciliani, guidati dal suono della cornamusa e accompagnate da procuratori che si recano a raccogliere i loro donativi e quel degli altri devoti.

Ancora oggi la festa e la fiera di merci e di animali richiamano grandi folle di fedeli che affollano il tempio come nell'anno 1693, da Leonforte, Assoro e Agira, i rappresentanti delle Municipalità quando vennero, scalzi e dolenti, ai piedi dei Venerato Crocifisso di Papardura per invocare la pioggia nei terribili anni della siccità, che portò la morte e la distruzione nelle nostre contrade.




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