La chiesa di San Marco
La chiesa di San Marco In Enna - post inserito il 14 febbraio 2014 - testi estratti da "La chiesa e il monastero di San Marco le Vergini di Enna" di Rocco Lombardo, ed. Lions Club Enna, 1999 - foto di Paolo Mingrino - editing e post produzione F.Emma -
La chiesa di San Marco
Dedicata a San Marco, l'evangelista martirizzato dai Giudei in Alessandria d'Egitto, e sorta sul luogo della sinagoga degli Ebrei dopo la loro espulsione dalla Sicilia avvenuta nel 1492-149368, la chiesa assunse l'aspetto attuale nel 1643 allorchè l'abbadessa suor Angelica Petroso commissionò il "grande cappilloni" e altre opere murarie al "mastro lapicida" Giovan Battista Vitale.
II Vitale, adeguandosi alle esigenze delle suore abitatrici dell'annesso monastero sottoposte a clausura, adottò uno schema a navata unica sovrastata da copertura a botte e priva di transetto, capace di consentire ai numerosi fedeli un facile svolgimento delle preghiere comunitarie e un agevole ascolto delle prediche ma pure idonea a permettere alle suore di assistere alle solenni funzioni assiepate nei "balconcini" e nella cantoria allogata sul vestibolo senza contravvenire all'obbligo della clausura.
Da allora le abbadesse che si avvicendarono alla guida del monastero, assecondate dalla cospicuità delle rendite e degli introiti del monastero e favorite dalla ricchezza delle doti portate dalle religiose e dai vitalizi versati dalle educande, realizzarono nei secoli un programma di abbellimento del tempio che, sin dai primi interventi seicenteschi, denuncia l'adesione al gusto barocco dell'epoca così incline al fasto e alla teatralità. La navata, superato il breve vestibolo sormontato dalla cantoria, prosegue nel suo impianto longitudinale con muri perimetrali scanditi da quattro concavità poco pronunciate destinate ad ospitare gli altari parietali. Essa si conclude dopo breve percorso nel presbiterio, separato, in ottemperanza alle indicazioni dettate dal Concilio di Trento, dallo spazio riservato ai fedeli da una breve scalinata che nella sua nuda semplicità fa spiccare la fastosità della dorata custodia lignea, esaltata altresì dalla posizione centrale ed elevata dell'altare principale su cui troneggia.
Il presbiterio, a sua volta, è delimitato da un arco sostenuto da pilastri, e da un'abside poligonale che culmina in una "cubula" che non "esplode" all'esterno, come accade altrove e come si conviene a quell'elemento architettonicamente molto decorativo quale appunto la cupola, quasi sempre richiesta dai committenti del tempo che vi attribuivano un valore simbolico particolare, data la diffusa e generalizzata convinzione che nessuna chiesa importante ne potesse fare a meno.
L' affresco della volta della navata
La sua sofferta assenza è perciò compensata, e al contempo sottolineata, da un affresco trompe-l'oeil eseguito sulla volta della navata, che nello sviluppo longitudinale, nella decorazione, nell'organizzazione spaziale, conformi ai canoni barocchi, si ispira alla vicina chiesa di San Francesco, come peraltro chiariscono gli espliciti riferimenti indicati dalle stesse suore negli atti notarili. E, come accade in questo tempio dei frati Francescani Conventuali, le cappelle laterali si riducono a semplici incavi, la cui scarna linearità si cercherà di mitigare ricorrendo ad una ricca e fantasiosa decorazione capace di adeguare il tempio al gusto dell'epoca, così protesa alla ricerca del fasto solenne, bisognosa di illusoria spazialità e incline alla grandiosa scenograficità.
La copertura a botte con lunette appena delineate contribuisce a creare uno spazio genuinamente barocco esaltato dall'affresco centrale in cui si condensa la ricerca di effetti illusivi e prospettici, ottenuti pittoricamente con la creazione d'un finto tamburo sorreggente una cupola e dalla decorazione plastica varia e fantasiosa realizzata con festoni, conchiglie, putti..., tutti elementi caratteristici d'un diffuso repertorio in cui primeggiano estro e bizzarria.
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La decorazione a stucco
Sparsi secondo un preciso elaborato disegno, gli stucchi furono commissionati nel 1705 dall'abbadessa Suor Aurora Carnazza a Gabriele De Bianco. Il De Bianco, appartenente alla vasta "famiglia" di artisti che annoverava anche Antonino, Biagio, Giuseppe, che, sparpagliandosi dalla natia Licodia fornitrice di ottimo gesso ai centri della Sicilia orientale, primeggiarono nel secolo XVIII in Val di Noto nella finitura a stucco, mostra di ben inserirsi tra i più abili modellatori di ornati del suo tempo, elaborando motivi tipologici tardo-manieristici ancora legati agli esempi delle "grottesche" ma pure già aperti alle fantasiose innovazioni barocche. Egli riesce a dare vita a vere sculture ornamentali, anche se qui ancora timidamente limitate a figurazioni appena inclinanti al tutto tondo, come testine, putti, festoni, ghirlande, ma idonee comunque a produrre quegli effetti pittorici richiesti dal gusto barocco imperante.
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La custodia lignea
Nel 1708 la badessa suor Caterina Maria Mazzola progetta di dotare il tempio di una custodia lignea destinata a sovrastare l'altare maggiore contenuto nel "Cappillone" e a diventare l'opera più appariscente e sontuosa di tutta la chiesa. Così, con atto rogato il 3 aprile di quell'anno presso il notaio Giacomo Bruno, Francesco Bono e Torres, che rappresentava gli interessi dell'abbadessa e del monastero, commissionava al trapanese Antonino Rallo una "custodia di legname d'altezza di palmi venti incominciando sopra l'altare unita con la scalonata insino al finimento, esclusa la croce", da eseguire su disegno di Agatino Daidone di Calascibetta, abile cartografo, stimato architetto e illustre matematico.
La "scalonata" menzionata nell'atto di commissione risulta formata da quattro gradini che, seguendo una spigolosa linea spezzata, inglobano nella parte centrale il tabernacolo vero e proprio, un vano arieggiante un portale timpanato in cui spicca la sigla JHS, alludente a Gesù Salvatore degli uomini. Essa rappresenta la base dell'invenzione architettonica strutturata come un movimentato prospetto d'un edificio sacro barocco culminante in una volta sagomata a conchiglia destinata ad accogliere la statua lignea di San Marco.
Questi è raffigurato seduto in sembianze di giovane barbuto che, adorno di aureola argentea, veste azzurrina e manto rosso lumeggianti d’oro, impugna nella destra una penna d’oca e sostiene con la sinistra un volume dalla copertina rossa decorata di fregi aurei. Lo fiancheggia un leone che esibisce criniera, coda ed ali dorate, le fauci spalancate a mostare vistosi aguzzi denti forse d’avorio ed occhi di vetro lucidi come quelli dell’Evangelina. Le nicchie laterali, poi, ospitano piccole statue dorate che raffigurano i quattro santi evangelisti Giovanni, Matteo, Marco e Luca in posizione seduta, accompagnati solo Matteo e Marco dal relativo simbolo identificativo: il bue e il leone. Al pari della nicchia centrale, esse sono fiancheggiate da colonne scanalate culminanti in elaborati capitelli corinzi che sostengono una movimentata trabeazione sovrastata da due eleganti simmetriche balaustrine delimitate ognuna da due plinti sorreggenti quattro statuine muliebri. Flessuose nelle loro vesti dorate coperte da manti argentei, alludendo anche con la loro aerea leggerezza alle virtù cardinali, svettano ai lati della grande conchiglia che fa da volta alla nicchia centrale.
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Gli altari laterali
Alla generale regola di sobria solennità sottostanno pure i quattro altari laterali. Essi, due per lato, s'affacciano sull'unica navata, semplicemente incassati nei muri perimetrali e profilati da membrature che al centro dell'arco presentano due cherubini alati reggi-cartiglio. Furono commissionati il 25 novembre dell'anno 1781, con atto stipulato presso il notaio Ignazio Bruno, da suor Rosane Petroso ai "maestri" catanesi Vincenzo Bonaventura e Benedetto Giuffrida.
La committente per la scelta dei marmi si riservava di avvalersi, a Catania, del Barone di Recarcaci o del barone di Manganelli, che con il loro intervento evidenziano ulteriormente gli stretti legami tra la nobiltà dell'epoca e le frequentatrici del Monastero, la cui sensibilità artistica ma soprattutto le ricche doti potevano consentire di ideare e far eseguire la fastosa decorazione della chiesa. Dei quattro altari, due, quelli più vicini al "Cappillone", furono eseguiti col tabernacolo adorno d'una placca bronea raffigurante l'Agnus Dei; e due con un semplice "ovato". Aggraziate decorazioni bronzee li impreziosiscono tutti sottolineandone il carattere sacro col simbolo liturgico della Croce. Quanto ai gradini, dovevano essere di "pietra rossa di Tavormina", mentre le predelle dovevano eseguirsi in marmo bianco di Genova”.
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Le pale d’altare
I quadri che adornano gli altari sono, partendo dal vestibolo:
a sinistra: - la Crocifissione - la Madonna del Carmelo
a destra: - l'Immacolata - San Marco.
Eseguiti in tempi diversi, sono per il momento da attribuire ad autore ignoto, tranne l'Immacolata del pittore Tommaso Sciacca di Mazara del Vallo (1734-1795).
La Crocifissione
Eseguita verosimilmente nel corso del XVIII secolo, la tela rappresenta con colori cupi, capaci di creare la mesta atmosfera consona al momento di grande tristezza, l'Addolorata, San Giovanni e una pia donna, identificabile con la Maddalena, ai piedi di Gesù in croce. Le tre figure, in atteggiamento di sentito dolore, manifestato senza ostentazione con pose e gesti di composto cordoglio, fanno da sfondo, come una quinta, al Crocifisso che, sotto forma di scultura lignea policroma realisticamente eseguita a grandezza naturale, balza in tutta la sua plastica evidenza. Cristo è raffigurato agonizzante, col viso incorniciato da morbida capigliatura rivolto speranzoso al Cielo quasi a indicare l'unica vera meta finale di ogni umano percorso. Il corpo, modellato in una posa serena e quasi rilassata, avulsa com'è da patetiche contorsioni, e non cosparso di ferite sanguinanti e vistose tumefazioni, rifugge dall'incutere facile raccapriccio e, appena coperto da un succinto perizoma che fa risaltare con la sua doratura il colorito delle membra, distende le gambe lievemente e compostamente accavallate e apre le braccia quasi in un gesto d'offerta.
La Madonna del Carmelo
Sul secondo altare a sinistra, contrassegnato dall'iscrizione "per Matrem Carmeli sunt lata ostia coeli" che evidenza la dedicazione alla Madonna del Carmelo, una tela di fattura seicentesca raffigura la Vergine col Bambino in atto di consegnare lo scapolare a San Simone Stock. L'episodio raffigurato si riferisce ad un momento della vita del monaco carmelitano, nato a Kent nel 1165 e morto centenario a Bordeaux, che in Palestina nel 1237 era stato presente all'adunanza in cui si decise di trapiantare l'Ordine in Occidente, ottenendo nel 1248 da Innocenzo IV la revisione della Regola.
Quel momento si incentra nell'apparizione della Vergine del Carmelo che prometteva di far evitare la pena eterna a chiunque fosse morto indossando l'abito carmelitano o, per estensione a seguito della pratica religiosa che ne scaturì, quello che è definito per antonomasia"lo scapolare". Da qui la scritta che in latino esplicita la sacra tradizione:"Per intercessione della Madre del Carmelo è aperta la porta del Cielo".Assistono alla scena, di sicura presa devozionale, il profeta Elia, riconosciuto come ispiratore dell'ordine carmelitano, identificabile dalla scritta "Zelo zelatum sum" che si dispiega sulla lama della spada; le sante suore carmelitane Teresa d'Avila che, sostenitrice devota del Mistero dell'incarnazione, ostenta sul petto la scritta "Verbum Caro Factum est", e Maria Maddalena de' Pazzi, adorna di una ghirlanda di rose, simbolo di purezza; e due angeli reggenti lo stemma dei carmelitani.
L'altare , come risuta da una iscrizione, è canonicamente qualificato "Privilegium quotidianum et perpetuum" in quanto dalla Messa su di esso celebrata scaturisce la concessione dell'indulgenza plenaria a sufragio dei defunti, a ricordo e conferma del patrocinio che la Madonna del carmeloesercita sulle Anime Purganti.
L'Immacolata
I Carmelitani, che affermavano la loro "discendenza" dal profeta Elia e dai suoi eremiti del monte Carmelo, scorsero nella "piccola nuvola", apparsa dopo il suo sacrificio a JHWH a porre fine alla siccità, l'immagine della Vergine, messaggera della fine della grande "siccità" precedente il Messia, e dedicarono perciò una speciale devozione al suo immacolato concepimento, estesa ai suoi antenati, soprattutto a Sant'Anna. Nell'ambito di questa particolare venerazione s'inquadra il quadro dell'Immacolata eseguito fra il 1768 e il 1769 da Tommaso Sciacca di Mazzara del Vallo (1734 – Lendinara 1795) e posto sul primo altare a destra. Gli era stato commissionato per conto delle monache dal priore Vincenzo Petroso, dei baroni di Pollicarini, sollecito nei confronti del venerando monastero che tra le sue mura da tanti lustri era solito ospitare numerose giovani della sua prestigiosa casata, spesso arrivate ad assumerne la guida, rivelatasi illuminata perché propensa alla realizzazione di opere d'arte.
L'artista, seguendo un impianto tradizionale, colloca l'Immacolata in posa estatica tra due santi vescovi di preminente culto greco, San Spiridione a destra e San Nicola a sinistra, ognuno affiancato da un cherubino recante uno la mitra vescovile e l'altro un libro e tre monete, i loro simboli di riconoscimento, peraltro facilitato da una scritta esplicativa che ne indica il nome,delineata ai rispettivi piedi.
San Marco
Se l’Immacolata è la tela più artisticamente valida, quella più antica si trova sul secondo altare a destra e rappresenta il santo eponimo, San Marco, che vi campeggia grandioso, intento a scrivere il suo Vangelo in atteggiamento ispirato e assorto.
L'ignoto autore attornia l'imponente figura dell'Evangelista di otto riquadri, delineati in maniera asimmetrica e diseguale, evocanti episodi della sua vita. Alla base di ognuno di essi, dettagliate iscrizioni, a volte illeggibili per gli inevitabili guasti causati dallo scorrere del tempo, danno la possibilità di riconoscere i momenti più significativi dell'avventura terrena del Santo. Un riquadro ci rappresenta il suo martirio, avvenuto per mano dei Giudei ad Alessandria, offrendoci così, abbinato alla notizia localmente tramandata e storicamente provata che il tempio attuale sorse sul posto della sinagoga giudaica, un nesso capace di spiegarci ancor più la scelta di intitolare al santo evangelista la chiesa del monastero carmelitano ennese.
Al centro della tela il Santo figura maestoso nella consueta iconografia che lo vuole affiancato dal leone, suo simbolo evangelico, e sorreggente un libro, il Vangelo, il più breve e il più antico, che compilò ispirandosi alla predicazione di San Pietro, di cui a Roma fu stretto collaboratore dopo essere stato "molto utile nel ministero” a San Paolo e a San Barnaba a Cipro e nell'Asia Minore.
Le istoriette rappresentate sono così identificate dalle iscrizioni, a volte di incerta lettura: a sinistra, a cominciare dall'alto: "Come S. Marco fu batizzatu da S. Pietru"; "San Marco preso da l'i(n)fedeli di Alessandria lo strascinano p. li pedi p. la cità"; "S. Marco fu stado in pregione visitato del Signore"; "S. M. fu strascinato p. collo d'Alessandria in sin che rese 1'alma al S(ignore)"
a destra, sempre partendo dall'alto: "Volendo l'infidelì abbrogi(a)re il corpo di S. M. fu dal cielo mandato fulgori e foco sopra qu(e)lli"; "S. Marco libera de la te(m)pesta de mare un saracino che invocò il suo nome"; "S. Marco sanò una mano tronche d. un cavaleri "; „Esse(n)do u(n) cavaleri d'un po(nt)e caduto de una fossa invoca(n)do S. M. fu da lui co la laza da pericolo cacciato fora”. I riquadri sono, pertanto, una sintesi dei principali episodi della vita di San Marco, desunti dalla tradizione e dagli scritti agiografici, miranti a suscitare la devozione dei fedeli e a trasmettere insegnamenti di pietà. a trasmettere insegnamenti di pietà.
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Gli affreschi
Oltre alle tele dei quattro altari laterali, la chiesa conserva altre opere pittoriche rappresentate dagli affreschi eseguiti sulle pareti laterali e sulla volta della navata nonchè sulle pareti e nel catino dell'abside.
Lungo la navata, ogni parete presenta, fra gli spazi lasciati liberi dagli altari, tre severe cornici mistilinee di stucco, appena illeggiadrite dalla vicinanza di conchiglie, fiori, sagome zoomorfe, testine alate, che racchiudono in tutto sei affreschi raffiguranti sante e santi in qualche modo legati all'ordine monastico carmelitano.
San Cirillo d'Alessandria
Santa Maria Maddalena de' Pazzi
Sant' Angelo da Licata
San Pietro Tomasio
Santa teresa d' Avila
Sant'Alberto degli Abati
Affreschi sulle pareti e sul catino dell'abside
Sant'Anna e la Vergine Maria
La SS. Trinità
Gesù Bambino e Sant'Antonio da Padova
La Madonna del Carmelo
L' Immacolata