Monastero di San Marco, la clausura - Il Campanile Enna

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Monastero di San Marco, la clausura

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La clausura
nel Monastero di San Marco:
il tempo e gli ambienti

Post inserito il 28 dicembre 2013,

Testi di padre Renato Dall'Acqua,
Foto ed editing F.Emma.

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Le opere d'arte nel monastero

La storia del Monastero di san Marco

La Chiesa di san Marco


foto di gruppo delle suore del monasterto di San Marco nel 1931


Monastero carmelitano dalla fine del 1400, questa casa diventa monastero di carmelitane scalze nel 1931: scalze, secondo la regola di Santa Teresa d’Avila. La rifondatrice è madre Immacolata (Clelia de Rensis) già fondatrice del carmelo teresiano a Ragusa e Chiaramonte.

Perché la clausura

La Clausura è incomprensibile e inspiegabile se non partiamo dal presupposto che si tratta di una  vocazione che viene da Dio. Vocazione a stare davanti a Dio per tutti, a essere consacrate  per un compito di intercessione in favore di tutta l’umanità. Essere separate dal mondo non allontana dal mondo, ma mette al cuore del mondo. Come cristo è il cuore del mondo anche la monaca che vive in dialogo con lui e che fa della sua vita un dialogo con Dio, giorno e notte, vive nel cuore di Dio e del mondo.


21 dicembre 2013, per la prima volta in 500 anni aperti ai visitatori i locali del Monastero di San Marco le Vergini


Le due giornate d’apertura del 21 e 22 dicembre alla città del Monastero di San Marco hanno registrato un successo di pubblico oltre le più rosee aspettative. Hanno potuto godere della visita guidata ai locali conventuali oltre seicento cittadini. Nella settimana precedente, inoltre, si sono avuti oltre 2500 visitatori in occasione della mostra dei ‘Bambinelli Sacri’ di porcellana e di cera, allestita nella stessa chiesa di San Marco, a cura della Pro Loco “Proserpina”. Questi due eventi si sono realizzati dopo che le monache di clausura dell’Ordine delle Carmelitane Scalze hanno lasciato nei giorni scorsi, per loro volontà, il Monastero di Enna verso altre destinazioni, stante l’esiguo numero di suore, di cui due anziane e ammalate. Da qui la decisione di chiudere la storica struttura conventuale che vide la luce nel 1492 e, dopo le vicende storiche dovute alle leggi eversive sabaude del 1866- 67, riaperta nel 1931. Si deve tutto alla disponibilità dei Frati Carmelitani Scalzi del Convento omonimo del Santuario di San Giuseppe, in particolare a frate Renato Dall'Acqua, che hanno preso in custodia i locali monastici, rimasti vuoti dopo la partenza delle suore. E’doveroso dire che tali iniziative si sono potute realizzare grazie all’Associazione “Proserpina”, che si è prodigata ad organizzare la Mostra, coadiuvata dalle confraternite dello Spirito Santo e di San Giuseppe, e grazie al contributo delle numerose famiglie ennesi che hanno dato il loro consenso a esporre i preziosi ‘Bambinelli’, compresi quelli delle stesse suore Carmelitane e delle Canossiane. Le visite sono state coordinate dallo stesso frate Renato e dallo storico dell’arte Rocco Lombardo che nel 1999 scrisse una interessante monografia, riccamente illustrata, sul Monastero e sulla chiesa di San Marco, pubblicata per conto del Lions Club, allora presieduto dal notaio Grazia Fiorenza. Nei due giorni di visita al Monastero si sono alternate le guide, espressioni di confraternite, associazioni, club service, comitati, ecc., rispondenti ai nomi di Bamby Bonarrigo, Marco Mancari Pasi, Paolo Mingrino, Daniela Tornabene, Gea Turco e Federico Emma. (Salvatore Presti)

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Il Coro, la preghiera del carmelo.





Siamo nel centro spirituale del monastero e della vita comunitaria.
Le monache si incontrano qui sette volte al giorno:
- ore 6.00 lodi, per gli inni e i salmi cantati usano melodie semplici  e toni non molto elaborati per lasciare più tempo alla meditazione. Segue un ora di meditazione che può vertere su vangelo del giorno o testo spirituale.
- 7.30 messa, segue breve ringraziamento eucaristico  
- 8.15 ora terza (tre salmi)
- 11.30 ora sesta (tre salmi)e ed esame coscienza
- 15.00 ora nona.
- 17.30  vespro e un ora per la meditazione
- 21.00 compieta
- 22.00 mattutino.

Prima del dopo Concilio Vaticano II c'era una alzata notturna a mezzanotte per la recita del mattutino, oggi si recita a chiusura giornata, dopo la compieta. Le letture del mattutino sono materia per la meditazione del giorno successivo. Per la meditazione e per la lettura spirituale si usano solitamente encicliche, opere santi carmelitani, vita di santi.

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Il Refettorio

Ore 8.30 colazione, ore 11.45 pranzo. – ricreazione insieme (un ora) - 14.0-15.00 lettura spirituale (un’enciclica, la vita di un santo , altro;  non meditazione ma lettura.), ore 19.00 cena. (Nella foto padre Renato Dall'Acqua che illustra la vita claustrale)
Secondo la regola le monache non mangiano carne, ad esclusione di  ammalate e convalescenti. La dieta è a base di pasta legumi, verdure, uova, latticini. Durante il pasto si ascolta una lettura che può essere tratta da un commento biblico, dalla vita di un santo, dalle Costituzioni dell’Ordine o anche qualche articolo di quotidiano o rivista religiosa.



L’affresco del refettorio raffigura il Convento di Monte Carmelo ad Haifa al nord di Israele al confine con il Libano. Qui nascono i carmelitani. arrivati verso la fine del XII sec. in terra santa  come pellegrini, e poi stabilitisi sui luoghi legati alla presenza del profeta Elia.  Da qui dovranno poi rientrare in occidente dopo la caduta definitiva dei regni latini  dei crociati nel 1291. I carmelitani ritorneranno in possesso di questo monte nel 1631. I primi monasteri femminili sorgono intorno all’inizio del  XV secolo.



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La sala del Capitolo

tela presente nella sala del Capitolo,
raffigurante il crocifisso sanguinante.

Siamo nel capitolo conventuale il luogo che veniva usato per prendere decisioni da parte della comunità che si esprime con voto segreto.
Si possono votare le ammissioni di una nuova religiosa ai voti, l'elezione della priora, ma anche questioni di natura economica e comunque decisioni che coinvolgono e riguardano la comunità.
Qui si svolgeva anche l’incontro settimanale di correzione fraterna detto capitolo delle colpe. Questo luogo era anche usato per la meditazione che non obbligatoriamente si doveva svolgere in coro.
Da qui si accede alle galleria che gira intorno alla chiesa con una serie di balconcini dai quali le monache potevano seguire la messa e fermarsi in meditazione. In fondo il coro alto per lo stesso scopo.


un balconcino della galleria che gira intorno alla chiesa,
il coro alto

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Le celle

Alle dodici celle delle monache vanno aggiunte le celle dell’infermeria per le anziane e ammalate, e le celle del noviziato per le giovani in formazione, che hanno una vita a parte della comunità, con la quale condividono refettorio e coro.

La cella richiama la religiosa al silenzio e alla solitudine due cardini della regola e della vita monastica. La cella non è fatto solo per riposare ma qui la monaca trascorre anche tempo dedicato alla lettura spirituale (un ora al giorno)  e svolgendo qualche piccolo lavoro.

Oltre alla preghiera è importante per una monaca anche il lavoro. Prescritto dalla regola segno di povertà e a servizio della comunità, il lavoro consiste nel preparare i pasti pulizie della casa, guardaroba e lavanderia, a questo quando il numero dello monache lo consentiva si aggiungeva il lavoro di ricamo e confezione di paramenti liturgici, produzione di ostie, uova e dolci.


Il Silenzio fa parte della Regola, si comunica senza fermarsi in chiacchere,  al lavoro le monache sono da sole per mantenere un clima di silenzio e solitudine.

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Il Parlatoio

Il Parlatoio è luogo importante per la comunità che ha solitamente molto richieste di colloqui e preghiere. La priora incontra le persone e concede il permesso alle suore di incontrare familiari e visite in genere.
Nelle foto le due ruote che permettono lo scambio con l'esterno.


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Il Giardino

Nel Giardino le suore possono stare in ricreazione. Momento importante della vita della monaca, alla ricreazione si dedicano due ore al giorno per stare insieme dopo i pasti in allegria. L’allegria  e lo stile di vita fraterno e di amicizia  è un tratto caratteristico della vita monastica secondo santa Teresa. Se il silenzio e la solitudine devono aiutare a vivere e custodire un clima di raccoglimento favorevole alla preghiera, i momenti di condivisione sono anche momenti di verifica  della vita spirituale che è vera, autentica se non è separata dall’amore al prossimo.


La comunità nel 1951

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La vita claustrale nei secoli passati*

L'obbligo fortemente restrittivo della clausura comportava privazioni e sacrifici. Specialmente se "papale" la clausura era alquanto rigorosa ed era  riservata a chi aveva pronunciato i voti solenni,  vi era anche la clausura " episcopale", più mite e riservata alle congregazioni a voti semplici.
La clausura, difatti, che nel nome indica tanto la parte dell'edificio monastico dove gli estranei, salvo espresso privilegio o giustificato permesso, non possono assolutamente accedere quanto la legge canonica che ne proibisce o limita l'entrata e l'uscita, oltre a tutelare la riservatezza come mezzo di unione a Dio e a favorire la vita contemplativa concepita da trascorrere non in continua preghiera ma da vivere ogni momento del giorno nella consapevolezza della Sua presenza; oltre a difendere dalle critiche esterne le ordinanze dei superiori, a ostacolare indebiti accessi e scoraggiare sgradite ingerenze, consente di rispettare gli obblighi della Regola senza essere distratti dal contatto coi secolari, al cui mondo, riconosciuto pieno di lusinghe e vanità religiosamente degne di aborrimento ma tuttavia umanamente pur sempre piacevoli e tentatrici, si è promesso con spirito di abnegazione di rinunciare.
Per meglio conquistare questa sorta di totale distacco auspicato da tanti ordini religiosi ma spesso non raggiunto per semplice lassismo, il Concilio di Trento (1545-1573), nel canone V della XXV Sessione, aveva con maggior severità regolamentato la clausura con l'ordinare, fra l'altro, che nessuna suora poteva "dopo la professione uscire dal monastero, anche per un tempo breve, con qualunque prestesto", unici due casi erano: un grande incendio o una grave epidemia.
I principi della vita monastica sanciti dal Concilio tridentino erano, dunque, improntati a severità rigorosa e i vescovi erano stati direttamente chiamati a farli osservare con assoluta fermezza. Se consideriamo che la sede catanese del Vescovo era lontana e di conseguenza la sua influenza più blanda e se ricordiamo l'estrazione aristocratica delle monache, abituate dalla nascita ad agi, lustro, privilegi, frivolezze e, il più delle volte, "sacrificate" al principio del maggiorasco garante della solidità patrimoniale della famiglia d'origine, non è difficile immaginare che quei principi erano spesso e con facilità disattesi.

Gli interventi vescovili erano volti a rinsaldare le norme di vita claustrale e miranti all'affermazione della "Communia", consistente nella partecipazione collettiva alla recita delle preghiere e all'esecuzione dei canti corali, nella condivisione dei pasti nel refettorio e del sonno nel dormitorio.
Le autorità religiose scoraggiavano con decisione l'utilizzo di spazi riservati, perché potevano favorire la riproduzione delle differenze sociali di cui inevitabilmente ogni suora era portatrice, e concedevano a donne laiche con oculatezza e parsimonia il permesso di permanere, anche se per gravi motivi e per breve tempo, tra le mura del monastero, in quanto la loro presenza poteva essere cagione di chiassosità inopportune e di disturbo all'austerità dell'ambiente. Inoltre, non era più, come prima, tollerata la morosità nel pagamento della "retta" da parte delle educande, cui inoltre era espressamente proibito di indossare abiti di seta e di "portare fettuccie e zagarelle di colore" e "addobbi e addrippi puoco honesti".
Si intendeva, anche così, frenare l'abitudine di monacare le figlie solo per "sistemarle", abitudine che aveva deformato l'ideale di vita claustrale e che dopo il Concilio tridentino era scoraggiata anche dall'obbligo imposto alla famiglia della "monacanda" di stipulare un vero e proprio contratto dotale con cui si impegnava a consegnare denaro e beni al monastero. La somma versata, anche sotto forma di censi e ipoteche, oscillava tra le 150 e le 200 onze, usufruita direttamente dalla suora nella ragione del 5% ; i beni erano rappresentati da case, terreni, mulini...
Dal momento che il monastero di San Marco ospitava suore provenienti dalle più cospicue e aristocratiche famiglie locali ed era destinatario di donazioni e lasciti generosi, esso possedeva un patrimonio ragguardevole, secondo solo a quello del monastero di san Benedetto, che le suore, col prescritto consenso vescovile e dietro adeguato compenso, affidavano in amministrazione a procuratori e notai, da loro detti "offitiali", non sempre, però, scelti al di fuori dei loro parenti e per la durata di soli tre anni, come previsto dai sacri canoni, che con queste sagge limitazioni miravano a evitare, spesso invano perché facilmente trascurate, connubi fra "potentati" locali e monasteri, capaci di attivare lucrose strategie patrimoniali e di assicurare prestigio e supremazia sia alle religiose coinvolte sia alle loro famiglie.

La nomina ad abbadessa (o priorissa, altrove detta anche prefetta o preposita) era un traguardo ambito e se per raggiungerlo era prevista un'età non inferiore ai 40 anni, di cui almeno otto vissuti "laudabiliter" nella professione, e l'elezione fatta a scrutinio segreto dalle stesse suore, in presenza dell'Ordinario diocesano e di due ecclesiastici che assistevano attraverso le grate del parlatorio, tuttavia non era né rara né difficile la possibilità di ottenere la prestigiosa carica con manovre spesso guidate dall'esterno.
Gli altri incarichi allettavano certamente di meno ma, pur ricoprendo il ruolo di semplice "celleraria, dispensiera, sagrestana, decana, maestra delle novizie, portinara, gradara, ascoltatrice, ruotara, procuratrice, economa, infermiera, spetiara..." non per questo si era meno importanti: visto che la suora che ne era investita ne rispondeva solo all'abbadessa e dati i frequenti stretti rapporti familiari intercorrenti, una diffusa e larga indulgenza era quasi d'obbligo, favorendo l'instaurarsi di sacche di autonomia e predominio, motivi di gelosie, ripicche, abusi, disordini disciplinari, d'altronde in sintonia con "lo spirito mondano, la difesa dei privilegi, l'ambizione, 1'emulazione che pervadono l'ambiente ecclesiastico e tutta la società" nel corso del '600, ed oltre, e "che trionfano anche nelle case religiose".

Per arginare il più possibile le nefaste influenze provenienti dall'esterno e per evitare che vi giungesse l'eco scandalosa di eventuali dissidi e fermenti, si prescrive che il monastero sia protetto da alte e spesse mura, sia dotato di fitte grate, sia provvisto di "ruota" e parlatorio, teoricamente unici punti dì contatto col mondo, facilmente e costantemente controllabili, allo scopo palese di salvaguardare la sacralità del luogo e di assicurare quella quiete silenziosa così necessaria alle quotidiane pratiche religiose.

*Rocco Lombardo, La Chiesa e il monastero di San Marco le Vergini, Lions Club Enna,1999

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