Nino Savarese, scrittore
Nino Savarese
scrittore
LA VITA
Nino Savarese nacque ad Enna, città arroccata nel cuore della Sicilia, 1'11 settembre del 1882.
Suo padre era napoletano, ricco commerciante di tessuti, e la madre siciliana: un felice incontro di due temperamenti, per tanti tratti diversi e complementari, dal quale risulterà arricchita la personalità del futuro scrittore.
Il fanciullo ebbe una infanzia serena, nutrita poeticamente dalla visione maestosa di quel paesaggio sul quale si affacciava la città natale e che si estendeva ampio e dolce fino alla piana di Catania e poco più lungi fino alla lucida marina dello Ionio che lambiva le antiche città di Agrigento e di Siracusa, sulle quali erano passati tanti secoli di storia.
Questo paesaggio, così solenne per la bellezza naturale e per il ricordo delle grandi civiltà che in tanti secoli si erano avvicendate, resterà sempre fisso nella memoria dello scrittore e servirà di sfondo a tante sue opere.
Frequentò regolarmente i primi corsi ginnasiali, ma accusò sin dall'inizio una certa insofferenza per la pesante cultura formalistica che a quel tempo veniva impartita nelle scuole, nella quale non riusciva a trovare stimolo a quegli interessi che già urgevano nella sua mente pensosa.
Rivelò ben presto che la sua vera passione era lo scrivere, e sebbene fosse rimproverato aspramente dai familiari, preoccupati che avesse motivo di distrazione dallo studio, vi dedicava gran parte del suo tempo cimentandosi soprattutto a comporre rappresentazioni sceniche, che poi faceva recitare dai suoi coetanei.
La sua intelligenza viva e profonda, nonostante la giovane età, lo faceva amante del raccoglimento e della solitudine: trascorreva infatti lunghe ore della sua giornata rinchiuso in soffitta a scrivere e pensare, e viveva i suoi giorni più belli in una isolata tenuta di famiglia, « Il podere di San Benedetto », ove, come egli stesso ebbe a dichiarare, « Si sentiva rapito dagli inviti che giungevano da ogni lato ».
L'amore per la natura, il senso della potenza arcana e della perenne bellezza che da essa si sprigiona, suscitano nell'animo del giovinetto le prime battute di un colloquio che durerà sino alla morte. Per una errata valutazione di questo amore, i familiari, sempre preoccupati di dare una sistemazione a questo ragazzo svagato, lo avviarono agli studi agrari, neppure nei quali egli ottenne risultato alcuno.
Ed era più che logico, poiché la Natura che Savarese amava non era la natura fredda e sperimentale sulla quale si esercita lo studio dell'agrario, la natura senza ombre e senza segreti nella quale è abituato a spaziare lo scienziato: era invece la Natura magica e misteriosa del poeta che vi coglie forme e voci di mille vite sconosciute, la Natura possente e terribile dell'uomo pen che si guarda intorno spaurito ed è immediatamente consapevole della sua pochezza. Abbandonò quindi anche questo genere di studi e per qualche anno, finché non venne chiamato al servizio militare, poté attendere alla sua passione prediletta.
Al ritorno frequentò per qualche tempo i corsi liceali con l'unico risultato di trovarvi incitamento alla vocazione letteraria, cui era fermamente deciso di sacrificare ogni cosa nonostante la ostinata contrarietà della famiglia.
Desideroso di acquistare finalmente una completa indipendenza, nel 1909 lasciò nascostamente Palermo, ove frattanto si era trasferita la famiglia, e si recò a Roma.
Ivi dimorò fino alla morte, salvo qualche occasionale ritorno alla sua amata Sicilia e specie a quel podere di San Benedetto ove sempre ritrovava la serenità dell'infanzia e quel contatto puro con la Natura, che fu sempre la sua più viva aspirazione.
A Roma visse scrivendo i suoi libri ed i numerosi articoli, che comparvero nei più importanti giornali dell'epoca: frequentava l'ambiente artistico e fu in grande amicizia soprattutto con il gruppo di scrittori che faceva capo alla rivista « La Ronda », fra i quali ricorderemo Emilio Cecchi, Antonio Baldini, Riccardo Bacchelli.
In Sicilia ritornò per l'ultima volta nel 1944 ma poi, per l'improvvisa avanzata delle truppe anglo-americane sbarcate nell'isola poco tempo prima, gli fu impossibile ritornare nella capitale, dove aveva lasciato í suoi interessi, il suo lavoro ed i suoi amici.
Questo forzato soggiorno gli provocò un indicibile disagio e gli ispirò le pagine angosciate della sua ultima opera, Cronachetta siciliana, che fu l'estremo accorato saluto alla sua terra natale.
Infatti ritornato a Roma verso la fine del '44, dopo la liberazione della città, vi morì improvvisamente di paralisi intestinale l'8 gennaio del 1945.
(Biografia a cura di Alberto Frasson)
Savarese raccontato da Francesco Lanza - Savarese raccontato da Francesco Lanza- Savarese raccontato da Francesco Lanza
Nessuno sospetta neppure che è per
lui solo che ci si può ricordare con piacere dell'impervio paese di Enna.
(F.Lanza)
Saluto a Savarese (Savarese in un ritratto di Francesco Lanza)
Non c'è migliore occasione di questo libro dalla copertina verde con l'omo legato al fico e il titolo tra magico e paladinesco (si riferisce al libro "Il Malagigi") per mandare un saluto a Nino Savarese, possidente di paese, gentiluomo campagnuolo, fantastico e solitario, un po' come il bizzarro personaggio uscitogli dalla fantasia e per il resto scrittore che sa il fatto suo e può dare dei punti a chi lo voglia.
Scritti di Savarese
pubblicati in questo sito
Castrogiovanni
Siamo un fiume lento
Commemorazione di N.Colajanni
L'uscita della Madonna
La donna volante
Finita la vendemmia e imbottato felicemente il vin nuovo, denso e rubesto, dal suo podere di San Benedetto con quella casina bianca davanti e i tre cipressi di guardia da un lato, egli se n'è risalito in paese, a svernare sulla rocca, tra la badia di San Marco e quella di Santa Chiara. Ora la nebbia, la «paesana » come la chiamano laggiù, sfuma il suo umido fiato dal Castel di Lombardia alla Torre di Federico, riempie d'un opalescente vapore le strade, e involge ogni cosa in un frigido clima d'acquario. Si comincia a sentire cos'è veramente da quelle parti l'aria fina, in casa s'accendono gli scaldini per crogiolarsi lentamente nelle giornate pigre e interminabili. Si rivedono, dopo così poco che l'avevano smesso, gli uomini in tabarro, rari e rapidi come fantasmi trascinati dal vento, ma per buona fortuna la tiepida fragranza dei biscotti, dei supplì e delle castagne è sempre in quella poca aria che si riesce a respirare e titilla confortevolmente le nari, invitando a non far complimenti.
Nino Savarese
a San Benedetto
Proprio di questi tempi, appena non ci si vedeva più; andavamo con Savarese a cenare da Paolino: c'erano le rubiconde salsicce, le grosse braciole di maiale, i melloni profumati, gli enormi finocchi arrivati dagli orti di Valguarnera, e il vino era quello forte e generoso di San Benedetto.
Allora, Don Andaloro Raschione, detto Malagigi e Cataldo, freschi freschi nella sua fantasia, facevano le spese della conversazione. Dopo tante pene, umile e gentile, Paolina si sarebbe finalmente sposata e col suo matrimonio sarebbe ricominciato il mistero del mondo, che invano Malagigi aveva cercato di sollevare.
Poi, piacevolmente riscaldati e imperterriti, su e giù da un capo all'altro del paese, ci lasciavamo fasciare e permeare dalla nebbia senza sentirla, mentre dalle botteghe, dai circoli e dalle farmacie, col naso schiacciato e fumante dietro i vetri, i pacifici borghesi e i feudatari dalle zampe pelose e quattrinaie ci guardavano con diffidenza, come verissimi lunatici caduti per isbaglio sulla terra.
Caro, svagato, speculativo Savarese, lo vediamo per le stradette riposate e tranquille, a Santa Chiara, alla Lombardia, al Monte, per quei quattro passi d'ogni giorno, che poi invece non finiscono mai: qualcuno lo saluta, può darsi che egli si fermi un momento in farmacia a barattare due parole o a vedere una faccia amica, ma nessuno sa chi egli realmente sia, così diverso, spratico e distaccato, d'un altro mondo come i personaggi dei suoi libri; nessuno sospetta neppure che è per lui solo che ci si può ricordare con piacere dell'impervio paese di Enna.
(Da « L'Italia Letteraria », 17 novembre 1929).