Storia del Passo Signore - 4
Breve storia dei ragazzi
del quartiere PASSO SIGNORE
di Pino Vicari
4° parte
Brevi cenni storici di Enna
e del Villaggio di Pergusa
Nel 1926 il paese chiamato CASTROGIOVANNI, essendo stata istituita una nuova provincia, venne elevato a capoluogo di Provincia e gli venne cambiato il nome ritornando a chiamarsi ENNA (il vecchio nome dai tempi dell'impero romano).
Castrogiovanni, verso la fine dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento, si aggirava sui 28.000 abitanti e amministrativamente era sottoprefettura della Provincia di Caltanissetta; era una città medioevale piena di storia e monumenti, il cuore della città si limita ad un centro che iniziava dalla chiesa del Santo Padre e terminava alla chiesa di S. Tommaso, lungo questo perimetro erano ubicate tutti i conventi di tutti gli ordini religiosi e tutti i palazzi dei baroni, marchesi, duchi, e altri ricconi feudali.
Tutti gli altri quartieri era periferia abitata da famiglie, quasi tutte, in abitazioni a pianterreno solo pochi con un primo piano e centinaia di famiglie abitavano in grotte scavate nella roccia essendo Castrogiovanni una montagna rocciosa.
Le grotte, risalendo all’epoca preistorica, erano principalmente ubicate: il Vallone dei Greci, Fontanagrande, Fundrisi, S. Pietro (Fuddraturi), Valverde, S. Eligio detto “Santulia” quartiere dove erano concentrati i caprai di Castrogiovanni; essendo un quartiere pieno di grotte trovavano sistemazione le persone e le capre; poi nel 1936 il fascismo bonificò dalla malaria il Lago Pergusa e costruì un villaggio formato da molte casette, la chiesa, la scuola, la caserma dei carabinieri e vennero assegnati a famiglie aggrottate ma non fu sufficiente perché molte famiglie continuarono a vivere nelle grotte. Negli anni cinquanta vennero costruite moltissime case popolari e furono assegnate agli aggrottati. La situazione igienico sanitaria era molto carente: i gabinetti, l'acqua corrente e l’energia elettrica, erano assenti nella maggioranza delle abitazioni, specialmente nei quartieri periferici.
I diplomati e i laureati erano pochi nel ceto medio e nei professionisti emersero persone di grande cultura come musicisti, scrittori, artisti e grandi artigiani. La loro attività si svolgeva quasi sempre fuori di Castrogiovanni, non esisteva ancora il Magistrale e per diplomarsi insegnanti bisognava andare in altre città.
Nei ceti popolari specialmente fra le donne, quasi tutte casalinghe, erano frequenti determinate credenze quali superstizioni, fattucchiere, quelli che “sapevano tagliare i vermi della pancia ai bambini” o che toglievano il sole della testa a chi aveva preso un’insolazione, per non parlare di chi scacciava gli spiriti maligni alle persone spiritate. C’erano perfino casi di stregoneria.
Il popolo di Castrogiovanni era a suo modo religiosissimo.
Le domeniche le chiese erano affollate, le confraternite erano numerose, ogni parrocchia aveva la propria festa.
Le feste cittadine erano numerose e affollate di fedeli e le parrocchie non mancavano di mezzi; vi era un detto popolare “cu avi un figliu parrinu avi un giardinu”. Purtroppo, il popolo coniugava FEDE e TRADIZIONI con superstizioni e credenze.
In questo paese, in questo quartiere, in questo clima, in quell’epoca siamo nati e cresciuti i Ragazzi del Passo Signore.
LEGGENDE E TRADIZIONI
Nelle famiglie, nei racconti serali si sentiva parlare di spiriti “i spirdi” di grotte misteriose ove erano seppelliti tesori che si potevano recuperare attraverso percorsi magici, di luoghi frequentati dai fantasmi.
Dalla serietà con cui venivano raccontate queste storie, noi ragazzi eravamo i primi a credere e assorbivamo ogni singola curiosità avventurosa con entusiasmo tanto che aprivano fantasiose discussioni e progetti.
Per le mamme casalinghe, quasi tutte analfabete, anche se religiose, alcune manifestazioni tradizionali passavano per verità.
Sentivo raccontare a mia madre alcuni di questi racconti come la storia della DRAGUNERA (una specie di strega): durante l'inverno si scatenavano grandi tempeste di vento, giacché il paese si trova su un monte alto circa 1000 metri e in una certa zona (Via Mulino al vento), un secolo e mezzo fa, vi erano mulini a vento e parecchie zone del paese si chiamavano Portelle proprio perché vi soffiava sempre vento. Essendo piuttosto fatiscenti le abitazioni di quei tempi, il vento entrava nelle case da tutte le fessure e le tempeste di vento facevano paura; era un buon motivo per dire che i VENTI SI BATTEZZAVANO.
Quale era il rimedio per fare calmare i venti?
Una popolana, si faceva anche il nome, con poteri soprannaturali e con i capelli sciolti si recava sulla rocca di Montesalvo vicino al dirupo e con una falce nelle mani recitando misteriose parole e agitando una falce SCIOGLIEVA I VENTI; se poi i venti si calmavano o no, nessuno ne aveva prova, ma se si fossero calmati, erano stati i sortilegi della DRAGONERA, altrimenti lo stesso rito veniva ripetuto per tre giorni.
Un altro racconto molto fantasioso era la chiamata delle “comari”. In Inverno, quando il clima non si era ancora surriscaldato, durante le grandi tempeste d’acqua e vento con fulmini e tuoni, spaventata da questi potenti eventi atmosferici, una donna si metteva sul ciglio della porta o alla finestra e volgendo gli occhi al cielo gridava: “Cummari, cummari Marì” comare, comare Maria e una qualsiasi altra donna (vicina di casa) rispondeva “chi vuliti, chi vuliti” e la prima comare, ancora gridando diceva: “di chi iurnu veni a Scensioni (di che giorno viene l’Ascensione) e l’altra rispondeva: “di iuvi, di iuvi veni” (di giovedì viene). Vediamo ora cosa voleva significare questa sceneggiata: la prima donna chiamando la comare Maria implorava la Madonna e chiedendo di che giorno era la Festa dell’Ascensione, sempre di giovedì, ricordava l’Ascensione di Gesù Cristo in cielo: quindi s’invocava la mediazione della Madonna verso il Figlio Gesù Cristo affinché facesse cessare il temporale.
I ragazzi di quella generazione eravamo più creduloni dei giovani di oggi, ascoltavamo i racconti degli anziani con una strana curiosità e avevamo fame di saperne ancora di quei racconti che parlavano di tesori nelle grotte della montagna nella contrada Scioltabino detta JUCULI', di gente che si era arricchita avendo trovato tesori in certe abitazioni popolate da fantasmi e si nominavano i cognomi. Questi racconti eccitavano la nostra fantasia, perché non provare anche noi, facevamo progetti che rimanevano tali perché la paura degli SPIRITI (fantasmi) era grande.
Animati di buona volontà, iniziavamo a fare prove di coraggio localizzando il primo obiettivo nella zona del convento di Montesalvo.
A quel tempo, tutta quella zona era totalmente buia, dall'attuale stadio alla Chiesa di Montesalvo non c’era neppure uno spiraglio di luce; a metà percorso tra Piazza Europa e la Chiesa c’era sistemata una grande croce di ferro collocata su una costruzione in muratura (poi spostata a fianco della chiesa) e la prima prova era arrivare alla croce e posare sullo scalino un sasso e fare ritorno ma non tutti ci provavano.
La seconda prova era, soltanto, per chi aveva superato la prima: arrivare davanti alla Chiesa di Montesalvo per dimostrare di non avere paura degli SPIRITI. Non mi ricordo che qualcuno avesse mai superato la prova, perché (per quei tempi) non era cosa facile.
Ma perché proprio davanti la Chiesa di Montesalvo ?
I monaci del convento in quel tempo numerosi, erano infastiditi da tanti ragazzi dei quartieri vicini perché andavano a giocare nella loro selva disturbando la loro solitudine e le loro passeggiate.
Molti malignavano, si diceva che non volessero far scoprire incontri compromettenti con fedeli di sesso femminile, la sera appena si faceva buio una fievole luce si vedeva a distanza, circolava voce che quella fiammella fossero degli spiriti”. Dopo tanti anni, si venne a conoscenza che era un espediente messo in opera dai monaci che, all’imbrunire, accendevano un lumino e mettendo in giro la storiella dei fantasmi per spaventare e così tenere lontani i ragazzi.
Durante il regime fascista, i ragazzi che frequentavano le scuole elementari avevano molte iniziative di carattere sportivo e ricreativo:
per esempio nel periodo estivo si aprivano le colonie mondane e marine, molti ragazzi frequentavano le colonie che avevano la durata di un mese per ogni turno; anche quella era occasione di fare conoscenze e stringere amicizie.
Si mangiava la mattina, il mezzogiorno e la sera, prima di andare a casa.
Per tanti, mangiare tre volte al giorno non era cosa da poco.
Gli insegnanti delle scuole elementari, di solito giovani donne, seguivano la loro scolaresca.
Fatto curioso, come noi ragazzi ci divertivamo a guardare le gambe delle maestre e giacché le donne non usavano pantaloni ma soltanto gonne, la colonia diventava un vero spasso.
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