Storia del Passo Signore - 5
Breve storia dei ragazzi
del quartiere PASSO SIGNORE
di Pino Vicari
5° parte
Il periodo fascista
Con l’avvento del fascismo molte cose cambiarono, alcune in bene altre in male. Per esempio frequentare le scuole medie non era di facile accesso a tutte le famiglie poiché non tutte potevano permettersi l’agio di “mandare” i propri figli a scuola.
Come si è detto, in alcune pagine precedenti, le uniche scuole erano le Elementari e l’Avviamento Professionale (indirizzo agrario), il Ginnasio e il Liceo; non si potevano formare neppure maestre giacché le scuole Magistrali si frequentavano a Piazza Armerina, pertanto si rendeva necessario far viaggiare le proprie figlie giornalmente e fuori paese. Per tutto il decennio degli anni trenta, eravamo entusiasti del fascismo: con le adunate in divisa, le sfilate per le vie cittadine, le gare sportive, i saggi ginnici; avevamo l'Impero (i bolscevichi in Spagna erano stati sconfitti).
Anche le ragazze con la loro divisa partecipavano alle sfilate, alle manifestazioni sportive, erano caduti certi tabù al “balilla” e dopo essere stato addestrato come un militare, alle sfilate, gli veniva consegnato un moschetto e il suo slogan era “ Libro e Moschetto, Balilla perfetto”.
Noi ragazzi, non capivamo niente del fascismo, vivevamo nell’entusiasmo e nel fanatismo, eravamo stati testimoni di due guerre e a sentire le propagande eravamo sempre i vincitori. Il duce era il nuovo messia.
Il fascismo, specialmente in Sicilia, era stata una “provvidenza”: la nascita dell'Istituto della Previdenza Sociale e dell'Istituto Infortuni, dell'Ispettorato del Lavoro e tanti altri Enti che erano sconosciuti ai Meridionali.
Finalmente, chi lavorava aveva i contributi INPS per la vecchiaia, veniva assicurato contro gli infortuni, i contratti di lavoro erano soggetti ai contratti di categoria., sentivamo parlare di queste e altre cose come gli Uffici di Collocamento sia a casa, dai nostri genitori, che fuori dai “più grandi” e di continuo si sentiva il ritornello “con Mussolini si può dormire con le porte aperte”.
E noi ragazzi cresciuti allo stato libero, quasi brado, eravamo entusiasti della cura e delle iniziative che il regime aveva verso i giovani; ci sentivamo ed eravamo tutti con il fascismo.
La vita tribolata nelle famiglie veniva mascherata dalle iniziative mosse a favore dei lavoratori: venivano versati i contributi, venivano denunziati quei datori di lavoro che evadevano il collocamento, tutto questo e altri provvedimenti venivano giudicati favorevolmente dai “grandi” e se ne parlava nelle famiglie, nelle taverne, nelle sedi dei gruppi rionali.
Alla nostra età, avevamo l’impressione che tutto andava bene.
Mentre avvenivano questi fatti, noi ragazzi di quartiere eravamo impegnati con le guerre rionali, con qualche scaramuccia e “scazzotata”, con fantasiose avventure, chi nella bottega e chi con i compiti di scuola, e poi ci perdevamo in lunghe e animate discussioni o commenti sui risultati delle varie competizioni sportive a cui si partecipava .
Alla fine degli anni Trenta, i ragazzi che rappresentavano la futura generazione erano idealmente divisi in chi frequentava la scuola per “fare” il medico, l’avvocato, l’ingegnere … e chi per scelta o per necessità andava in bottega per “imparare un mestiere” (per andare a “guadagnare qualche soldo” e aiutare economicamente le famiglie) oppure a lavoro con il padre.
I ragazzi di cui parlo avevamo tredici o quattordici anni e senza rendercene conto stavamo per entrare in una nuova epoca, in una nuova avventura!
L’anno 1939 fu un passaggio epocale per noi ragazzi, uno sradicamento, dalla vita del ragazzo di quartiere spensierato e irresponsabile (immerso nei giochi) fui proiettato a problemi impensabili che sarebbero sorti durante e dopo il 2° conflitto mondiale.
LA SECONDA GUERRA MONDIALE
Nel 1939 avvenne qualcosa che sconvolse tutto ciò che per noi ragazzi era il mondo, quanto avevamo conosciuto nelle due guerre dell'Abissinia e della Spagna era soltanto un gioco; del resto queste guerre, così lontane, ci avevano abituati ad immaginarle ma non a viverle; e fu questa esperienza che ci apparve sconvolgente e che ci è rimasta impressa.
Nella nostra immaginazione, aver conquistato l'Etiopia, paese di neri selvaggi da noi conosciuti solo nelle caricature, e partecipato ai fatti di Spagna (la “rivoluzione” l’avevano fatta altri, noi Italiani siamo andati soltanto per partecipare alla sfilata vittoriosa di Madrid), significava che bastava fare guerra e in pochi mesi la guerra era vinta tanto da poter dichiarare la nazione Italia come Impero.
Al Gruppo Rionale, a scuola, alle adunate fasciste, si sentiva parlare di un’alleanza militare detta “PATTO D’ACCIAIO” costituita da Germania, Italia e Giappone che come Paesi di “Proletari” avevano dichiarato guerra alle “Plutocrazie” occidentali che schiavizzavano i popoli e queste odiate nazioni erano la Francia e l'Inghilterra, pertanto ci si doveva preparare alla guerra.
Il fascismo organizzava manifestazioni in tutte le città mobilitando le scuole di ogni ordine e grado e nei telegiornali e nelle sale cinematografiche, si diffondeva la grande propaganda a sostegno della guerra; furono invitati gli studenti universitari ad arruolarsi nella MVSN Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale e noi giovani fermamente convinti di essere parte dell’eroica missione, incoscientemente, partecipavamo con entusiasmo.
Nelle manifestazioni, le discussioni si concentravano sul problema dell’età: eravamo abbastanza grandi per poterci arruolare e andare a combattere ?
Si pensava che era finalmente giunto il momento di partecipare ad una guerra vera, con nemici veri; fu facile non parlare più delle guerre di quartiere (gli odiati Judicari) ma dei nemici francesi e inglesi.
Mio padre dissentiva dalla guerra perché aveva fatto quattro anni tra guerra e prigionia nel primo Conflitto Mondiale e non voleva più sentir parlare né di trincee, né di pidocchi e tanto meno della fame nei campi di concentramento o dei gas asfissianti.
Quelle poche volte che mi portava con sé nella sede dell'Associazione dei Combattenti e Reduci che si trovava in Piazza S. Francesco, l’attuale sede dei Democratici di Sinistra, dalle fotografie appese sui muri, mi indicava i monti dove aveva combattuto.
Mio padre non aveva mai alzato una mano sui figli, ma quella volta lo vidi arrabbiarsi come non mai nella mia vita; le presi, iniziando da un ceffone, non appena di rientro da una manifestazione perché gridando inneggiavo alla GUERRA assieme a tanti altri giovani.
Mio padre mi spiegò cosa significa la guerra, quale sono le conseguenze per le famiglie: genitori che lasciano moglie e figli perché mobilitati alle armi e inviati nelle zone di guerra.
In famiglia, soltanto mio fratello Paolo della classe 1920 poteva essere mobilitato in qualsiasi momento e che di fatto avvenne (inviato al fronte occidentale ai confini con la Francia, dopo la dichiarazione di guerra annunziata da Mussolini in Piazza Venezia).
Intanto, la Germania aveva dichiarato guerra alla Polonia, nel 1939, e subito l’aveva invasa; la Francia e l'Inghilterra dichiararono guerra alla Germania a difesa della Polonia in poco più di alcune settimane. La Germania aveva occupato la Polonia e invaso la Francia, e io per ubbidire a mio padre non partecipai alle manifestazioni al grido di guerra; tuttavia, tra noi ragazzi, le prime vittorie ci coinvolgevano come se avessimo partecipato in prima persona.
Il fascismo era molto abile nell’esaltare le vittorie e noi ragazzi, ripieni di propaganda, parteggiavamo perché l'Italia entrasse in guerra cosa che avvenne nel 1940.
I giochi spensierati, le zuffe, i racconti, si affievolivano e cominciavano a scarseggiare le riunioni serali del vicinato, fino a quando non iniziarono i veri problemi con le cartoline di color rosa pallido, il che voleva dire che gli uomini del quartiere erano stati chiamati alle armi.
Non solo furono mobilitati i giovani in età di leva militare ma anche i padri di famiglia; dovevano consegnarsi al distretto militare dove apprendevano le varie destinazioni: fronte occidentale francese, Albania, Grecia, Jugoslavia, Libia, fronte russo.
Nelle famiglie non si parlava altro che di guerra.
Nel quartiere, alcuni giovani ventenni furono chiamati alle armi e partirono i fascisti che militavano nella milizia (M.V.S.N.) furono mobilitati e obbligati a vestire la divisa. Le prime notizie dei caduti di guerra erano di dominio di tutti.
Nelle ormai famose vie non si parlava altro che di guerra, le “comari” per solidarietà si scambiavano visite per i primi lutti.
La situazione alimentare diventava drammatica e vennero istituite le tessere annonarie, tutto era razionato, il pane per esempio, 200 gr. a persona e la mattina bisognava alzarsi presto per andare a fare la fila nella bottega “a Putia” aspettando che arrivasse il pane del fornaio.
La crisi alimentare costringeva le famiglie ad escogitare tutti gli espedienti necessari per sopravvivere, in modo particolare le famiglie degli operai e dei minatori si trovarono senza lavoro e senza pane.
Chi resisteva alla crisi erano i contadini che possedevano un pezzo di terra e allora venne coniata una nuova parola l'INTRALLAZZO.
I ragazzi del Passo Signore, diventati giovanotti, siamo stati risucchiati da tutti i nuovi problemi che la situazione aveva creato: c’è chi intraprese la strada degli studi come i fratelli Barberi, i fratelli Nicoletti, i fratelli Russo, i fratelli Fazzi, Sturiale, Dongarrà, Palermo e Vicari Antonio; altri che appena compiuti 18 anni si arruolarono nell’Arma dei Carabinieri come il Maddalena, nella Polizia il Mingrino, nella Finanza il Pagaria, nell'Esercito il Pavone.
Enna ospitò la sede del comando della VI Armata occupando ii locali dove attualmente ha sede la scuola media Pascoli, attaccata alla chiesa S. Marco; la città si riempì di soldati, ufficiali, camion e camionette di tutti i tipi e vennero istituiti grandi magazzini di viveri e munizioni, furono scavate fosse anticarro alle porte della città, piazzati cannoni nelle grotte alla periferia del paese.
Il 10 Luglio del 1943 sbarcarono gli anglo americani a Gela, in pochi giorni furono ad Enna, non si trovava più un generale, ne ufficiali, i soldati sbandarono, non fu sparato un solo colpo di fucile, i magazzini, la sede del comando, il distretto militare, la sede della milizia fascista, la GIL federazione fascista, vennero svuotati dal popolo.
Non rimase neppure una sedia in quei locali.
Gli ultimi giorni di Giugno e i primi giorni di Luglio, Enna fu oggetto di diversi bombardamenti, nelle varie grotte e rifugi morirono più di 300 persone; la città era stremata e la popolazione inferocita.
L'entrata degli americani, in città, fu accolta con festa e gioia, vennero esposte le lenzuola nei balconi in segno di festa e di resa. Per noi la guerra con le armi era finita.
Il comando della VI armata aveva affisso al muro della chiesa di S. Marco un grande tabellone colorato e vi era disegnato tutto il bacino del Mediterraneo con tutti i paesi in guerra.
Ogni mattina, un soldato con la scala spostava, in avanti, le bandierine di guerra; era il periodo in cui le forze dell'asse sia in Europa (Russia) che in Africa (Libia) avanzavano senza ostacoli.
La gente andava a curiosare e soddisfatta faceva ritorno a casa perché comprendeva che gli Alleati avanzavano, era un chiaro segno di vittorie. Una notte il grande tabellone venne rimosso, scomparve.
Se il tabellone non fosse stato rimosso nottetempo, il militare che muoveva le bandierine avrebbe dovuto arretrarle giacché le sorti della guerra erano cambiate, le truppe dell'asse si ritiravano precipitosamente dalla Libia e in Russia l'esercito russo marciava verso Berlino.
Noi giovani ascoltavamo i discorsi dei più grandi, sfiduciati e critici verso la guerra; le famiglie non avevano più notizie dei loro cari.
Dai vari fronti di guerra, specialmente dalla Russia, si sentiva dire che non si era più disposti a combattere.
La situazione alimentare peggiorava, la fame costringeva tanti sbandati a rubare il grano appena mietuto, la caduta del fascismo e l'arresto di Mussolini e l'armistizio firmato a Settembre dal nuovo governo furono avvenimenti che in noi giovani, cresciuti in quel clima di potenza, fecero crollare quanto di più illusoria immaginazione ci aveva convinto di essere i più forti.
In meno di 5 anni cadeva un'epoca e ne iniziava un'altra in cui, da giovani, ci siamo ritrovati adulti.
La solidarietà umana tra le famiglie del quartiere divenne ancora più forte, i lutti, la mancanza di notizie, l'arrivo di alcuni reduci che avevano attraversato l'Italia a piedi (tra cui mio fratello) resero più solidi i rapporti di buon vicinato.
Nei vicoli, le mamme e le spose si confortavano a vicenda, nei limiti del possibile si aiutavano i più bisognosi, non c’era odio, non fu insultato nessuno di quelli che avevano indossato la divisa fascista, per anni non ci furono gerarchi; il quartiere visse il dramma della guerra e del dopo guerra tutti accomunati dalla medesima tragedia.
Finita la guerra, smarriti e increduli, fummo presi da quei tanti problemi che è facile immaginare anche a chi la guerra non l’ha vissuta.
Alcuni di noi continuarono gli studi, chi laureandosi in medicina, in giurisprudenza, in ingegneria; altri divennero ragionieri, geometri, insegnanti; qualcun’altro emigrò all'estero: Lombardo in Venezuela, Alaimo in Belgio, Di Marco in Australia; altri ancora si trasferirono al Nord per lavoro e un buon gruppo si arruolò nelle vari armi: Carabinieri, Finanza, Polizia e la maggior parte restammo ad Enna:
come contadino, meccanico, falegname, muratore, commerciante, impiegato (comunale, bancario, all'Ospedale) ecc.
Alcuni fummo coinvolti nella politica: Umberto Barberi, esponente molto qualificato nella Democrazia Cristiana, consigliere comunale, alto funzionario della Regione Siciliana, fu Capo Gabinetto di molti Assessori Regionali, sempre disponibile a dare una mano d'aiuto agli amici; Michele Nicoletti, Democratico Cristiano, è stato consigliere e assessore comunale oltre che Segretario Comunale della D.C., Presidente del Presidio Ospedaliero; Gigi Fazzi, militò nel P.C.I. giornalista; Pino Vicari (autodidatta) fece la sua carriera nel Sindacato C.G.I.L. e nel P.C.I ricoprendo la carica di Segretario Provinciale del P.C.I. per diversi anni, Consigliere Comunale e Assessore per diversi decenni.
All'inizio della nostra attività politica, la sera, ci incontravamo nel quartiere e appoggiandoci alla famosa inferriata, per ore ci mettevamo a discutere di politica, ormai ci conoscevano e ad una certa ora alcuni si affacciavano al balcone invitandoci ad andare a dormire essendo notte fonda. Nel Consiglio Comunale e in altre occasioni, ci scontravamo.
La politica, allora, era più polemica che altro e non si degenerava ma; in fondo eravamo sempre i ragazzi del Passo Signore.
Quelli che occupammo incarichi politici e istituzionali, mai nei limiti del lecito negammo una mano d'aiuto agli amici del Passo Signore. Questa regola per noi era una prassi normale.
Oggi ultra ottantenni, molti non ci sono più ma ancora manteniamo i rapporti con le famiglie o tra noi viventi.
Avrei voluto non chiudere mai questa breve storia che concludo con le lacrime agli occhi che stanno scendendo copiose per il ricordo dei tanti con cui passammo anni di gioia, spensieratezza, speranze, illusioni e amarezze. Siamo amici, ma di una amicizia fraterna e incorruttibile, tra noi ci furono screzi ma giammai odi o rancori. Quelli che non ci sono più prima di chiudere gli occhi avranno sicuramente per un attimo rivolto il pensiero agli amici, ecco perché ho voluto scrivere questa breve ed esaltante esperienza. Gesù Cristo morì per salvare gli altri, solo un vero amico é disposto a dare la vita per un amico (Giov.15,13).
I ragazzi degli anni '30
Passiamo ora a fare un elenco per una semplice conoscenza dei ragazzi che dichiaravano “guerra” agli altri quartieri:
Termine
abitava in Via Roma, il figlio del calzolaio sordomuto
Barberi Umberto
Barberi Renzo
abitavano in Via Carmine, il genitore era insegnante.
Renzo, il maggiore dei fratelli si è laureato in Ingegneria meccanica. Trascorse la sua vita a Torino in una grande fabbrica.
Umberto si è laureato e dedicò la sua vita alla pubblica amministrazione, esattamente alla Regione Siciliana occupando funzioni di alta
responsabilità presso vari Assessorati Regionali.
Timpanaro Michele
Timpanaro Michele abitavano in Via Roma erano due cugini con lo stesso nome.
I genitori gestivano una latteria.
Il cugino più grande divenne artigiano, sarto per l’esattezza; emigrò in
Svizzera e rientrato, ormai con i capelli bianchi, morì. Il cugino più piccolo morì giovane.
Cameli Giuseppe
Cameli Gaetano
erano due fratelli con differente personalità.
Giuseppe era un tipo calmo, Gaetano un carattere irrequieto.
Cammarata Arturo
il papà era infermiere al Consorzio Antitubercolare, frequentò la
Ragioneria e preso il diploma di ragioniere impiegò la sua vita presso il
Comune di Enna. Era un bravo giocatore di calcio e fu mio compare a vita.
Pagaria Salvatore
abitava in via Camiolo.
Tifoso di calcio, giocò in squadre giovanili.
In età adulta si arruolò nella Finanza si congedò Maresciallo. La sua vita si concluse a Milano dove visse con la famiglia.
Lombardo Gaetano
abitava in Via Passo Signore.
Fece il Tipografo e poi emigrò in Venezuela.
Dopo alcuni anni si trasferì negli Stati Unito dove morì.
Bodenza Luigi
abitava in via Passo Signore.
Suo padre era coltivatore diretto e lui volle proseguire il lavoro iniziato dal dal padre. Non ebbe il tempo di invecchiare.
Di Stefano Lucio
abitava in Via Passo Signore.
Fece il Falegname e successivamente aprì un grande negozio di Mobili. I suoi figli hanno continuato a gestire negozi di mobili.
Di Stefano Francesco
abitava in Via passo Signore.
Divenne imbianchino e dopo alcuni anni si trasferì nella zona del Mulino a
Vento.
Di Marco Liborio
Abitava in Via Roma.
Detto “Bunuzzu u picciddu” perché nello stesso vicolo abitava un cugino, poco più grande, si chiamava pure Liborio e nel quartiere veniva chiamato “Bunuzzu u ranni” cioè Liborio il grande.
Bunuzzu u picciddu, da adulto, emigrò in Australia e dopo anni ritornò e
trovò un posto da impiegato al Banco di Sicilia.
Dongarrà Aldo
abitava in Via Passo Signore, figlio unico e “ammizzigliatu” cioé coccolato. Il padre era impiegato all’ Ufficio di Collocamento.
Passava per gerarca fascista perché era costretto ad indossare la divisa ogni Sabato. Una famiglia per bene.
Aldo non era un ragazzo robusto questo le faceva soffrire si imbottiva di ricostituenti perché voleva essere più robusto.
Divenne funzionario all'Istituto Infortuni, sempre disponibile con i vecchi amici del Quartiere.
Alaimo Antonino
abitava in Via Torre di Federico e la famiglia proveniva da Valguarnera. Per noi era “u carrapipanu” essendo nato a Caropepe Valguarnera. Emigrò in Belgio e lavorò nelle miniere di carbone.
Rientrò in Italia da pensionato come tutti coloro che hanno lavorato nelle
miniere di carbone non sono invecchiati.
Pennadoro Filippo
abitava in Via Filonide. Questa famiglia composta da sei persone era vissuta per tanto tempo collocata in una grande grotta e con loro anche l’asino, ma era straordinariamente affettuosa con i vicini, molto socievole e sempre disponibile.
Filippo intraprese il mestiere del muratore.
Alonzo Mario
abitava in Via Filonide.
Il padre era figlio del fornaio di Via Roma.
Mario, mio coetaneo, lavorò per breve tempo nell’attività di famiglia, il panificio, ma dopo che il padre emigrò in Germania anche lui lo seguì. Ricordo che era un giovane molto intelligente e di grande iniziativa.
Attualmente vive in Germaia.
Iannello Giuseppe
Iannello Gino
abitavano in Via Filonide.
Il papà esercitava l’attività di venditore ambulante di tessuti.
Gino seguì le orme del padre, mentre Giuseppe divenne falegname e riuscì a gestire una falegnameria in Via Roma.
Erano due fratelli sempre pronti alle esigenze del gruppo giovanile. Giuseppe è morto da poco tempo.
Nicoletti Michele
Nicoletti Paolo
abitavano in Via Passo Signore.
Era una famiglia benestante e possedeva diverse terre. Paolo, Michele e una loro sorella si laurearono.
Michele si affermò in politica, militava nelle Democrazia Cristiana e coprì molti incarichi politici e nell’amministrazione pubblica.
Fu Consigliere e Assessore Comunale. Paolo è morto da alcuni anni.
Bandinelli Giuseppe
abitava in Via Passo Signore.
Partì per la Liguria per assolvere l’obbligo militare e lì rimase (forse).
Da allora non si sono più avute sue notizie.
Pavone Paolo
abitava in Via Passo Signore.
La sua era una famiglia di contadini ma non volendo continuare la tradizione familiare, si arruolò nell'esercito e raggiunse il grado di sergente maggiore; poi si ritirò e trovò impiego nelle Poste Italiane.
Si trasferì e vive tuttora a Bologna da pensionato.
Con lui siamo legati da una “comparanza” che dura da una vita.
Ci teniamo in contatto e ci sentiamo telefonicamente in occasione delle feste.
Valenti Giuseppe
abitava in Via Torre di Federico.
Intraprese il mestiere di idraulico e assunto dall'Azienda Comunale Acqua e Luce, era il fontaniere della città.
Nel gruppo giovanile era abile a tirare con la fionda.
Bellissimo Mario
abitava in Via Roma.
Divenne barbiere ed esercitò per molti anni, poi fu assunto dall’Azienda
Ospedaliera Umberto I di Enna come barbiere.
Fazzi Gigi Fazzi Oreste Fazzi Tullio
abitavano in Via Roma.
I tre fratelli Fazzi provenivano da una famiglia benestante ed erano coetanei tra loro, erano stati generati uno dopo l’altro ed erano tutti e tre integrati nel gruppo.
Il più piccolo Tullio, proprio per la sua età, era esonerato dal partecipare alle sassaiole.
Tutti e tre furono avviati agli studi superiori: Tullio ottenne il diploma di
ragioniere, Oreste si laureò in medicina e Gigi, giovane molto
intraprendente, che ha soltanto frequentato l’università.
Tutti e tre i fratelli sono morti.
Mingrino Antonio
abitava in Via Roma.
Il padre Commissario di Pubblica Sicurezza.
Antonio era sempre preoccupato che il padre potesse scoprire che il figlio partecipava, con tutti noi, alle guerre.
Era attivo in tutte le attività del gruppo.
Come il padre, anche lui, si arruolò nella Pubblica Sicurezza. A oggi non si hanno sue notizie.
La Vigna Giuseppe
abitava in Via Roma.
Era il più grande di noi tutti, molto attivo nei giochi di quartiere, divenne falegname e lo fece per tutta la vita.
Milano Giuseppe
abitava in Via Libertà.
Figlio unico, rimase orfano giovanissimo, trovò impiego come Vigile
Urbano al Comune di Enna.
Ruggeri
abitava in Via Passo Signore.
Il padre era vigile nell’Ispettorato Forestale; non era ennese ma si era integrato bene nel quartiere.
Una volta trasferito il padre, non si sono avute più notizie.
Cottonaro Rosario
abitava in Via Roma.
Non era nato ad Enna, ma il padre era un impiegato della Forestale.
Anche Rosario, integrato con gli altri ragazzi del quartiere, trovò impiego nella Forestale.
Palermo Pino
Il padre era Maresciallo dei Carabinieri, tuttavia partecipava attivamente ai giochi del quartiere. Giovane studente aderì alla Gioventù Comunista. Trasferitosi con la famiglia, non si ebbero più notizie.
Rindone Giuseppe
abitava in Via Passo Signore.
Giuseppe trascorse tutta la sua vita come infermiere all’Ospedale di Enna e
con lui, anche, le due sorelle.
Già da ragazzo, tra noi, si occupava di medicare con garze e cerotti i compagni che tra una guerra e l’altra si infortunavano con qualche ferita da taglio. Era la sua passione.
Maddalena Angelo
abitava in Via Roma.
La famiglia gestiva una rivendita di vino in una bottega di Via Roma.
Il padre andava con il carro agricolo a caricare il vino con le botti nella zona di Vittoria e stava via alcuni giorni.
Il fratello più grande si arruolò nell'esercito svolgendo il servizio al Distretto Militare di Enna, mentre Angelo si arruolò nei Carabinieri. Attualmente vive a Palermo da pensionato con la sua famiglia.
Vicari Antonio
abitava in Via Legnano.
Eravamo cugini, uniti come due fratelli, abitava vicino la Chiesa di San Tommaso.
Il nonno era custode all'Ospedale e questa fu una grande opportunità perché, più volte, ci facevamo medicare al Pronto Soccorso in Piazza Carmine passando inosservati.
Ricordo ancora che la risposta al Medico che chiedeva come ci si era procurati quella ferita era sempre la stessa “mi è arrivata una pietra e non so chi è stato”.
Antonio si è diplomato in Ragioneria e per tanti anni lavorò al Comune di Enna; poi si laureò in Ingegneria Meccanica e concluse la sua carriera da Direttore Tecnico nell'Azienda Comunale Acqua e Luce.
Vicari Giuseppe detto Pino
Vicari Gaetano
abitavamo in Via Filonide.
Nostro padre era minatore nelle miniere di zolfo. Io frequentai l'Avviamento Professionale come quasi tutti ragazzi di quel tempo, nel
periodo delle vacanze estive passavo l'estate nelle varie botteghe artigiane e partecipavo a tutti i giochi di quartiere.
Ero un giovane un tantino prepotente, facilmente stringevo amicizie e
“comparanze” e non mi tiravo mai indietro nell’affrontare prove difficili.
Amante di libri e di album d’avventure.
Con i tanti ragazzi a me coetanei, da sempre, ho stretto amicizie durature, alcune delle quali perdurano ancora oggi.
Gaetano, mio fratello più piccolo, non partecipava mai agli scontri più
pericolosi per volere esplicito della madre, altrimenti erano guai seri per il fratello maggiore.